Kyle Edmund non è il nuovo Murray, però impressiona per la sua serenità. Sul Louis Armstrong supera John Isner mostrando una tranquillità notevole, quasi incredibile per un ragazzo di 21 anni senza grande esperienza. “Io sono sempre stato così, un tipo calmo”.KYLE EDMUND CON TENNISBEST

Spesso la vita è semplice. Siamo noi a complicarla in mille modi. Devono averlo spiegato a Kyle Edmund, protagonista a sorpresa allo Us Open 2016 (nonché giocatore di più bassa classifica tra quelli già agli ottavi). Il britannico ha vinto da sfavorito contro John Isner e sarà l’avversario di Novak Djokovic negli ottavi di finale. Un Djokovic clamorosamente fresco: dopo il forfait di Vesely al secondo turno, ha giocato appena sei game contro Mikhail Youzhny, che ha scelto di ritirarsi per un problema muscolare. Ma Kyle non ci pensa. Pensare troppo, di solito, significa complicarsi le idee. Il rosso dello Yorkshire (è nato in Sudafrica ma si è spostato in Gran Bretagna quando aveva appena tre anni) piace perché resta tranquillo in ogni situazione. Non si fa prendere da isterismi, depressioni, o esaltazioni eccessive. Situazioni tipiche nel mondo dello sport. Lui no, gioca la sua partita e tanti saluti. Atteggiamento che gli è servito sul Louis Armstrong, dove il pubblico era tutto per John Isner a partire da mamma Karen, legatissima al figlio e spesso al suo fianco in giro per il mondo. “Sapevo che sarebbe stato un match diverso dai precedenti – ha detto Edmund – al secondo turno avevo avuto 16 palle break, mentre Isner concede molto meno”. Vero, però l’americano (con una fasciatura sopra al ginocchio, che però non sembra averlo menomato) ha giocato un disastroso quinto game: doppio fallo e tre errori di dritto regalavano il break a Edmund, glaciale nel mantenerlo fino al 6-4. Isner pareggiava i conti con un po’ di fortuna (una risposta un po’ casuale sulla palla break gli dava una mano), ma Edmund non si disuniva, mostrava ottime soluzioni e poi non tremava nel tie-break finale, solitamente terra di conquista per bombardieri. Invece accarezzava le righe, chiudeva con un dritto vincente e finalmente poteva manifestare tutta la sua gioia dopo aver sigillato il 6-4 3-6 6-2 7-6 foriero del primo ottavo Slam in carriera, di una sfida a Novak Djokovic, dell’Arthur Ashe Stadium.



FARE LE COSE SEMPLICI
“Meno male che mi ci sono allenato domenica scorsa con Murray – ha sospirato – 75 minuti che mi torneranno utili, altrimenti mi sarei presentato senza nessun punto di riferimento”. Ciò che colpisce di Edmund è la tranquillità. E’ un vero “british” nonostante l’aria da monello, da capo banda di periferia. E poi ha pensieri talmente lineari che sembra prenderti in giro. Ma non è così: “In una partita del genere non puoi permetterti alti e bassi. Tutti facevano il tiro per lui, anche se c’era qualche inglese. E’ stata davvero una bella vittoria”. Anche chi lo conosce meno si è accorto della sua tranquillità. “Io sono sempre stato così, abbastanza calmo. Ovviamente siamo tutti esseri umani. C’è chi si arrabbia, chi si infastidisce…tutti proviamo emozioni, ma ognuno è diverso. Mi piace fare le cose semplici, niente di complicato”. Per ora è il suo segreto, la chiave che lo ha portato tra i top-100 senza grossi squilli nonostante la pressione dei connazionali, desiderosi di un nuovo Murray. Lui non lo sarà mai, ma col suo carattere riesce a gestire la faccenda. Lo ha dimostrato lo scorso luglio, quando si è caricato sulle spalle il team britannico di Davis senza Murray e lo ha guidato al successo in Serbia. Non c’era Djokovic, suo avversario negli ottavi. I due si sono già affrontati a Miami. “Da allora ci salutiamo, a Rio mi ha fatto i complimenti per la Davis, mi ha detto che aveva visto i match. Anche Becker mi ha mandato un messaggio. Ho apprezzato molto, queste cose fanno piacere. E denotano la loro classe”. Seguito da coach Ryan Jones (ma nel suo angolo c’era anche il capitano di Davis Leon Smith), fa quello che dovrebbe fare ogni tennista. “Scendo sempre in campo pensando di poter vincere. Devi fare così: se non sei sicuro di farcela, stai certo che perderai. Credo di avere la mentalità giusta”. Serve benino, si muove come si deve e ha un dritto incisivo, anche se non di quelli che insegnano nelle scuole tennis. Ma non importa: domenica, a sfidare Novak Djokovic, ci sarà proprio lui. Il britannico cresciuto sui campi indoor della piovosa Beverley e nel Centro Tecnico di Roehampton, ma che ama soprattutto la terra battuta. “Dovessi scegliere la mia superficie preferita, direi proprio la terra”. A quanto pare, anche il Decoturf non gli dispiace.