Jerzy Janowicz è uno dei giocatori più schietti del circuito ATP. Se deve dire qualcosa non si tira indietro, senza risparmiare nessuno. In una recente intervista ha affrontato vari temi: ranking, infortuni, superfici, la crisi della Radwanska e altro ancora.In un circuito ATP sempre più dominato da giocatori-robot e logiche di politically correct, giocatori come Jerzy Janowicz sono vere e proprie mosche bianche. Il polacco non ha mai avuto peli sulla lingua, da quando spaccava vagonate di racchette nei Challenger sino all’esplosione nel tour maggiore, con la finale del 2012 a Parigi-Bercy e la semifinale dell’anno successivo a Wimbledon. Risultati ai quali non è ancora riuscito a dare grande seguito, ma lui non ne fa un dramma. Si è presentato fra i grandi spendendo parole dure sia per Novak Djokovic (“è falso, gli piace recitare”) sia per Federer, “uno che se la tira”, e la popolarità non l’ha cambiato. Magari non parlerà più male dei colleghi, ma ogni sua intervista regala sempre qualche spunto interessante. Recentemente ne ha rilasciata una al portale polacco Sport.pl, mostrando la propria visione particolare della vita nel tour. Ne abbiamo estratto i passaggi più significativi.
“Non mi piace pormi obiettivi di classifica prima dell’inizio della stagione. Voglio solo vincere più incontri possibile, e salire di conseguenza. Non punto a chiudere l’anno fra i primi 20. Sarebbe una gran cosa riuscirci, ma di certo non mi dispererò se non succederà”.
“Non sono d’accordo con chi dice che gli infortuni rendono i giocatori più forti dal punto di vista mentale. Doversi fermare per dei problemi fisici è molto frustrante, specialmente quando si sta vivendo un buon periodo. Bisogna ripartire da zero, e per riprendere la forma occorrono parecchie settimane”.
“Tratto ogni avversario allo stesso modo. Ogni incontro va preso con serietà, che sia una finale o un primo turno. Anzi, i match di primo turno sono spesso i più difficili”.
“Il mio 2014? È stato interamente condizionato dai problemi dell’anno prima. Mi sono fatto male alla schiena, e quando sono rientrato mi sono infortunato a un piede. Così non ho potuto prepararlo come avrei voluto”.
“Non faccio molta distinzione fra terra, cemento ed erba. Mi piace la diversità. Secondo me la maggiore differenza è fra giocare all’aperto o al coperto, li sì che cambiano le condizioni. Mi piacerebbe trovare più tornei indoor, sono i miei preferiti”.
“Non è corretto dire che ho dato poca importanza alla stagione sulla terra. Per me tutti i tornei sono importanti allo stesso modo. A Madrid e Roma ci sono tanti punti in palio, e poi sono torneo obbligatori, preziosi per salire in classifica".
“Se devo scegliere preferisco affrontare avversari forti. Mi dà la possibilità di giocare sui campi principali, davanti a tanta gente e con tanto supporto. Adoro questa atmosfera, mi aiuta a giocare meglio”.
“Nella finale di Montpellier (è stato costretto al ritiro dopo 3 giochi, per un virus, ndr) sono stato molto sfortunato, ma non sono scaramantico. Mi sarebbe potuto succedere in qualsiasi altro torneo”.
“Agnieszka Radwanska è fra le top player da tantissimi anni. Ora sta avendo un periodo più difficile, ma può capitare a tutti. Siamo umani, non dei robot programmati per vincere. Lei ha moltissima esperienza e saprà risolvere i suoi problemi. Mancano ancora tante settimane alla fine della stagione”.
“Sono felice che la stagione sull’erba sia ormai dietro l’angolo, anche perché quest’anno durerà una settimana in più, con un nuovo torneo a Stoccarda”.
“La posizione nel ranking è importante, perché permette di disputare determinati tipi di tornei, ma il ranking non è tutto. Il ranking non gioca le partite e non dice che un giocatore fuori dai primi 200 del mondo non può battere un top 20. È una cosa che può capitare e capita. Ognuno quando scende in campo vuole vincere. Il nome dell’avversario non conta”.
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