Le sensazioni sono due, in apparente contrasto. La prima è che la città di Parigi merita i Giochi Olimpici del 2024 più di Roma. A una settimana dal termine degli Internazionali BNL d’Italia, la differenza tra le due città è evidente in un settore chiave come quello dei trasporti. A Roma ci sono appena due linee della metropolitana (con la terza promessa da anni, ma che non vede ancora la luce), mentre a Parigi sono addirittura quattordici. Non c’è zona della città che non sia facilmente raggiungibile. Ovviamente, anche il Roland Garros. La grande cultura sportiva dei francesi si annusa appena arrivi nella zona. Ci sono manifesti e loghi già all’interno della stazione di Porte d’Auteil, punto di riferimento per ogni amante del tennis. I cartelli proseguono lungo il tunnel che conduce alla strada, corredato da un primo infopoint con alcuni ragazzi pronti a dare qualsiasi tipo di informazione. Persino il pavimento della stazione della metro è griffato Roland Garros, con palline da tennis disegnate un po’ ovunque. Sulle pareti ci sono alcuni manifesti che ricordano, con grande orgoglio, come il 61% degli spettatori della passata edizione abbiano raggiunto l’impianto con i mezzi pubblici. “Bella forza”, vien da pensare. In questo angolo di Parigi, zona sud-ovest, sulla direttrice che porta a Versailles, si respira tennis ovunque. Anche il più sprovveduto non riuscirebbe a perdersi, vuoi per la marea umana fluttuante, vuoi perché ci sono addetti del torneo un po’ dappertutto. Persino ai semafori ci sono ragazzi pronti a dare informazioni. E poi ci sono imponenti misure di sicurezza. Non si palpa la tensione prima di un Boca Juniors – River Plate o di un Galatasaray – Fenerbahce, ma l’accesso all’impianto è una via-crucis. Come anticipato nei giorni scorsi dalla FFT, ci sono tre passaggi obbligatori dove il traffico umano si ferma e riparte solo dopo un accurato controllo dei metal detector. C’è da capirli: la ferita per i terribili attentati dello scorso novembre è ancora aperta. La Francia ha prorogato di un paio di mesi lo stato di emergenza. Diciamo che il Roland Garros è la prova generale per due eventi che metteranno ancor più a dura prova la sicurezza del Paese: gli Europei di Calcio e il Tour de France. I 130 morti di novembre, l’orrore degli attentati, la paura del fanatismo…sono armi potentissime per tenere alt(issim)a la guardia. Quel che ci è piaciuto, in una fresca domenica di maggio (avrebbe potuto tranquillamente essere novembre e non se ne sarebbe accorto nessuno), è che la Francia non ha rinunciato alla sua integrazione culturale. In barba agli attentati e ai fanatismi, la società francese è sempre deliziosamente multirazziale. Dovremmo prendere esempio da loro. Una città “olimpica”, che non molla nonostante le tre batoste incassate per le Olimpiadi del 1992, 2008 e 2012. Una città dove si respira sport: a Roma, per restare al tennis, varcato il Tevere ci sono molte, troppe persone che non sanno nemmeno che si gioca il torneo.
CALCA DA DISCOTECA
La seconda sensazione, più specifica, riguarda il Roland Garros. E’ piccolo, maledettamente piccolo per un evento importante come uno Slam. Anni fa poteva essere considerato uno Slam “a misura d’uomo”: tutti i campi sono agevolmente raggiungibili e c’è la sensazione di trovarci in un circolone di tennis. Grande, gigantesco, ma pur sempre un circolone. Il problema si è sviluppato con gli anni. Gli Slam hanno preso il volo e sono diventati fenomeni di costume, oltre che semplici tornei di tennis. Lo scorso anno, hanno visitato questo posto 463.328 persone. E’ lo Slam con meno pubblico, ma è anche il più piccolo. Otto ettari di spazio non sono sufficienti per un evento del genere. Si è visto in una giornata falcidiata dalla pioggia. Si è giocato per qualche ora, poi c’è stata un’interruzione, poi un’altra ancora che ha convinto gli organizzatori a rinviare tutto a lunedì. L’inizio domenicale prevedeva 32 match, ne hanno conclusi appena 10. Erano nove, ma la finestrella di mezz’ora (presa a forza intorno alle 18) ha consentito a Lucie Safarova di chiudere il suo impegno contro Vitalia Diatchenko, che ha scelto proprio Parigi (e i 30.000 euro offerti a chi perde al primo turno) per tornare a giocare dopo nove mesi di stop. La pioggia, dicevamo: mentre il cielo piangeva, il pubblico si è rifugiato nei (pochi) spazi al coperto. E c’era una sensazione di calca allucinante, da inaugurazione estiva di una discoteca. Con la differenza che qui non si divertiva nessuno. Gente accampata ovunque, persino negli stand commerciali che generosamente offrivano qualche metro quadrato di asciutto. Gli unici a gioire erano i negozianti delle boutique ufficiali: non è difficile immaginare che l’articolo più venduto è stato l’ombrello griffato RG. Nel 2016, nell’epoca del dominio delle TV, Parigi è maledettamente indietro rispetto agli altri Slam. A Melbourne hanno tre stadi coperti, a Wimbledon uno (e saranno due nel 2019) e tra qualche mese New York inaugurerà il maxi-tetto sull’Arthur Ashe. Gli organizzatori del Roland Garros lo sanno bene e hanno pianificato un progetto che però non parte. Politici locali e associazioni ambientaliste stanno mettendo in atto un vivo ostruzionismo per diffendere le serre d’Auteil, adiacenti ai campi da tennis. Ma ormai non c’è più tempo: devono trovare un modo per coprire il Campo Chatrier, realizzare il nuovo Campo 1 (5.000 posti proprio in mezzo alle serre), illuminare i campi e aumentarli di numero. Solo così il torneo crescerà e si eviteranno scene francamente imbarazzanti come quelle di oggi, con migliaia di persone accalcate nella prestigiosa Piazza dei Moschettieri, quella che divide lo Chatrier dall’attuale Campo 1 (quello che – secondo i progetti – dovrebbe essere demolito). Un piazza che qualche anno fa era l’affascinante cuore pulsante del torneo. Oggi è uno slargo, reso ancor più piccolo dagli studioli delle emittenti televisive. Non è un caso che i progetti di ampliamento (per i quali c’è un sito internet dedicato: la sezione sul sito ufficiale non bastava più) prevedono un significativo ampliamento.
BOLELLI DIGNITOSO, MA DA RICOSTRUIRE
Tante chiacchiere sulla location perché a tennis non si è giocato granché. Della buona figura di Marco Cecchinato leggete a parte (solo una considerazione: con il ranking sceso al numero 124 ATP, probabilmente quest’estate lo vedremo di nuovo giocare nei challenger: non era certo il suo programma), mentre Simone Bolelli sta facendo il possibile contro Kei Nishikori. Con una vistosa fasciatura alla gamba sinistra, sembra un filo più massiccio e ancora più lento negli spostamenti, suo storico tallone d’achille. Nel primo set ci ha capito poco, nel secondo ha dato battaglia. Ha ripreso un break, ha conquistato un buon numero di punti con il dritto e ha confermato di non patire troppo il tennis-flipper del giapponese. I precedenti di Wimbledon, decisamente combattuti, non mentivano. Il match è stato sospeso una prima volta sul 6-1 5-4, poi di nuovo sul 6-1 7-5 2-1. Ci vorrebbe un miracolo per rimettere in piedi la partita, ma l’impressione è che l’azzurro la stia vivendo come un test (ben pagato) per capire come reagisce il ginocchio. Un ginocchio che nelle scorse settimane ha destato più di una preoccupazione. Questa è la priorità: poi ci sarà una classifica da ricostruire, per l’ennesima volta. Il cervellone dell’ATP l’ha sbattuto al numero 116. A quasi 31 anni, l’assalto al best ranking sarà una bella scommessa.