L’arrivo alle Olimpiadi è un po’ surreale, fra posti di blocco e clima autunnale
«No, di qui non passa. Neanche con il pass. Deve fare il giro». Il gendarme con il mitra è gentile, ha un’aria da bravo ragazzo, ma comunque meglio non contraddirlo. Parigi è blindata, anche per arrivare al mio appartamento a Miromesnil bisogna sottoporsi a rituali da Check-Point Charlie – ed è comprensibile: siamo fra l’Eliseo e il Ministero degli interni. Così, sguazzando nelle pozze di pioggia come Gene Kelly (ma senza cantare) alla fine riesco ad arrivare a destinazione.
La sensazione, nel day after la cerimonia, è di essere arrivato in una Parigi distopica, grigia, umida, cupa come neanche l’oriente futuribile di Blade Runner. E quasi deserta, considerando che siamo in pieno periodo vacanziero. In giro, compreso a Chatelet e sulla di solito murata metro numero 9, ci sono quasi solo poliziotti, gendarmi, uomini della security, e gente con il pass olimpico al collo. Il resto, sono turisti americani dall’aria allegra ma un po’ spiazzata. Lunghi convogli di cellulari militari passano lentamente, clacsonando rauchi, mentre stridono le sirene delle ambulanze e dei vigili del fuoco.
Il Roland Garros è addobbato diversamente, con colorini pastello e una grafica geometrica che lasciano un po’ perplessi, ma qui un po’ di pubblico non di addetti ai lavori, per fortuna, si vede. Dopo la cerimonia di ieri, con Nadal, Serena Williams e Amelie Mauresmo protagonisti, l’impressione è che mentre il tennis qualche problema con le Olimpiadi ancora ce l’ha (vedi i tanti forfait) le Olimpiadi si stiano ormai abituando, con piacere, al tennis.
Arrivo quando sotto il tetto del Philippe Chatrier chiuso – più o meno la stessa scena del torneo di due mesi fa, dannato mutamento climatico… – si affrontano Fritz e Bublik. il resto è Francia, Francia, Francia e pioggia. Ma domani è previsto sole…