Intervista esclusiva (“l’ultima che rilasceremo”) col papà di Gianluigi Quinzi a seguito della scelta del nuovo coach Ronnie Leitgeb. “Noi non siamo come gli Zamparini che prendiamo e cacciamo allenatori. Cercavamo una guida, una figura di qualità e carismatica. Non l’abbiamo mai trovata” … di FABRIZIO SALVI

di Fabrizio Salvi

 

Game, set and match.. Quinzi. Scocca l’ora e quarantacinque di gioco, Hyeon Chung ha appena stampato un diritto incrociato sulla rete e dall’altro capo Gianluigi si è lasciato cadere a terra, toccando il cielo con un dito, incredulo per quello che aveva appena fatto. Campione a Wimbledon Juniores. Sembrava l’inizio di una storia luccicante e invece qualcosa è successo. Quel qualcosa che ha rallentato la crescita del ragazzo marchigiano e lo ha lasciato impantanato in un mare di dubbi.

Abbiamo il piacere di parlare con suo padre, Luca, persona cordiale e sincera, innamorato del figlio come si conviene a ogni papà, ma con la cultura del rispetto dei ruoli tanto da non interferire con le scelte.

 

– Grazie Luca per aver accettato l'invito de "Il Tennis Italiano"…

"Grazie a voi. Questa sarà l’ultima intervista che io e la mia famiglia lasciamo per conto di Gianluigi. Vorrei cogliere l’occasione per rimettere le cose al loro posto, seguendo l’ordine dei fatti, quelli reali".

 

– Partiamo dalla notizia degli ultimi giorni. Suo figlio Gianluigi ha appena cambiato allenatore e ha scelto l’austriaco Ronnie Leitgeb, già allenatore di Thomas Muster e di Andrea Gaudenzi. La scelta è figlia di qualche attrito con il vecchio coach?

"Non c’è stato alcun attrito con nessun allenatore precedente. Nella fuoriuscita mediatica dei continui cambi di allenatore, le scelte sono state attribuite a volontà familiari e ci tengo a fare una precisazione a questo. Da zero fino a diciassette anni Gianluigi ha avuto sostanzialmente un bravissimo maestro di circolo che è Antonio Di Paolo. Successivamente un ex giocatore, Vazquez, che lo ha accompagnato fino ai 13. Più avanti, dai 14 ai 18 anni, è stato seguito da Eduardo Medica".

 

– Poi cosa è successo?

"Improvvisamente in due anni ha cambiato sette coach. Quindi – ironizza – o la famiglia Quinzi, compreso il figlio, è impazzita, oppure è stato raccontato qualcosa di non vero".

 

– Allora proviamo a dare un ordine logico alle cose…

"In maniera molto serena dopo Wimbledon, a seguito dei risultati in ambito Junior, la famiglia ha sentito la necessità di provare a fare il salto di qualità. L’obiettivo era quello di superare i limiti tecnici e fisici, facendo progredire Gianluigi. A quel punto si sono presentate opportunità come quelle di Norman e Shuttler. Figure prestigiose e attraenti, ma nessuno si è assunto la responsabilità di curare il ragazzo in prima persona, poiché avevano clienti più importanti da seguire. La piega che aveva preso era quella della supervisione, concetto dal quale mi sento molto lontano. Creare un atleta è un lavoro artigianale e va fatto con cura e attenzione".

 

– Suo figlio è entrato nell’accademia di Jan De Witt ad Halle. Può dirci perché non è andata bene in quel caso?

"Quella è stata una disillusione. Nell’accademia di Jan De Witt – che vanta Gilles Simon nella propria scuderia – il ragazzo si è infortunato per mera sfortuna. L’esperienza è durata solo tre settimane nelle quali non abbiamo mai visto Jan de Witt in persona, ma un’infinità di collaboratori che, peraltro, si scambiavano ruoli e competenze. Come dicevo precedentemente, non ci serviva un supervisore, ma un coach. A seguito di questo abbiamo deciso di interrompere il rapporto. Dire che Gerry Weber possa rappresentare un punto fermo vita di Gianluigi è falso".

 

– Poi Eduardo Medica è tornato ad allenare Quinzi…

"Esatto, è stato ripreso Medica, il secondo tentativo vero dopo quello di Monachesi. Come le minestre riscaldate, quando vai a riprendere una situazione che tre anni prima avevi deciso di lasciare, a quel punto non era più buona. Lo stesso Medica non era più lo stesso di prima. Ma ci tengo a fare una precisazione".

 

– Dica pure..

"Noi non siamo come gli Zamparini che prendiamo e cacciamo allenatori… anche se da juventino ho una stima infinita di lui! Noi cercavamo una guida, non uno che facesse solo da supervisore senza un sincero interesse verso la crescita di Gianluigi. Cercavamo una figura di qualità e carismatica. Non l’abbiamo mai trovata".

 

– Cosa è scattato con Leitgeb che non è scattato con gli altri?

"A Gennaio è stato Leitgeb che ha cercato Gianluigi e io gli ho subito rigirato la richiesta. Voleva testare a Marbella la possibilità di allenarlo. Cercare o essere cercato, nella nostra esperienza, abbiamo visto che da frutti completamente diversi. Lo ha contattato probabilmente perché in maniera emotiva e nostalgica gli piacerebbe riportare il suo orologio indietro di venti anni, al periodo di Muster e Gaudenzi. Immagino che sia così, ma dovremmo essere nella sua testa".

 

– Gianluigi come ha vissuto gli anni dopo Wimbledon?

"A 16 anni è diventato numero 1 junior, ha vinto uno slam e il Bonfiglio, facendo qualcosa di straordinario. Nella settimana del 18 di novembre 2013, mondo Pro, era 300 nel ranking, quando Coric era intorno a 400, Zverev era addirittura 800. L’unico che era messo meglio di lui era Kyrgios che stazionava intorno alla 180, ma aveva un anno di più. Questa situazione di fermo lo ha frastornato negli ultimi due anni, nei quali ha avuto anche la maturità scolastica, un infortunio di otto mesi e soprattutto, sottolineo, non ha trovato la figura guida che tanto cercavamo. A questo punto però è inutile guardare al passato, quella è un’altra storia, adesso Gianluigi sa che c’è tanto da lavorare per migliorarsi e costruire il suo futuro".

 

– Ha qualche aneddoto da raccontarci?

"Assolutamente si. Javier Piles – allenatore storico di Ferrer– nel 2014 voleva riproporsi con Gianluigi da primo coach. Siamo andati fino a Valencia per conoscerlo. Aveva aperto cuore e mente di Gianluigi verso un sogno che stava realizzando. Lui aveva accettato di seguirlo in tutto e per tutto e noi siamo ripartiti dall’aeroporto di Valencia convinti dell’accordo in mano. Eravamo d’accordo su tutto. Atterrati a Ciampino, quindi dopo due ore, ho ricevuto un sms nel quale si è scusato per non poter tener fede all’accordo preso poco prima. Ha raccontato di aver ricevuto una telefonata da parte di un giocatore professionista che, successivamente, capimmo essere Bautista Agut. Gianluigi era a pezzi, con la maturità il mese dopo per giunta".

 

– Che aspettative ci sono per il futuro?

"Leitgeb ha detto che sarà un percorso molto lungo. Gianluigi ha qualche problema tecnico e mentale ma li supererà perché, come dice il suo coach, ha un talento incredibile. Ci vorrà molto tempo, non un torneo o due, ma anni. Speriamo che ce la faccia".

 

Le parole amichevoli e spontanee del padre di Gianluigi trasudano la voglia di chiudere il cerchio intorno a certe notizie ritenute non vere. Le spiegazioni date lo confermano. Come premesso dal padre, la famiglia Quinzi qui si eclissa e passa la palla al figlio.