Riesce comunque a sorridere Jasmine Paolini, da lunedì numero 5 Wta. Ora qualche giorno di riposo e poi subito ad allenarsi sulla terra, per tornare a sognare

foto Ray Giubilo

“Ci sono andata vicino, ma non abbastanza”. Il sorriso perenne sul viso di Jasmine Paolini è un po’ amaro dopo la finale di Wimbledon persa al terzo set contro Barbora Krejcikova. “Sono triste – dice Jasmine, da lunedì numero 5 del mondo – ma posso ancora sorridere. Oggi resta una buona giornata. Sono stata in finale a Wimbledon. Le finali le vedevo da bambina in tv e facevo il tifo per Federer. Certo, è un po’ difficile parlarne ora, anche se sono state due ottime settimane”.

L’analisi della partita è molto semplice per Paolini. “Sono partita male. Nel primo set lei ha servito benissimo con una percentuale molto alta. Alla fine sono andata meglio che al Roland Garros (la finale persa nell’ultimo Slam contro Iga Swiatek ndr). Dopo il primo set, ho pensato a rifocalizzarmi, rilassarmi, battermi. Magari in passato ero più nervosa, mi facevo prendere di più dalle emozioni. Ho imparato a metterle da parte. Alla fine, la differenza è stata che lei ha servito meglio di me, ma sa anche muovere la palla bene, è una giocatrice completa. E’ stata in grado di giocare più vicina alla linea di fondo, io ero un po’ lontana e mi faceva muovere molto”.

La tennista toscana non si pente di aver chiamato un “challenge” sulla prima palla (giudicata fuori dall’arbitro e poi confermata dal “falco”), il che ha poi portato al doppio fallo a causa del quale ha perso il servizio nel settimo game del terzo set (il “settimo game è sempre cruciale”, recita la vecchia tradizione anglosassone), quindi in ultima analisi ha condotto alla sua sconfitta. “Mi pento soprattutto di aver sbagliato la seconda – dice Jasmine, che raramente perde il suo senso dell’umorismo – La chiamata del challenge sulla prima ci stava, in fondo era questione di centimetri. Forse avrei dovuto aspettare un attimo prima di giocare la seconda, per ricompormi”.

Paolini ammette la delusione, “anche se fare una finale a Wimbledon, vedere la mia famiglia in tribuna, sentire il calore del pubblico è comunque qualcosa di eccezionale. Ora se guardo al futuro, devo essere contenta con i risultati, ma se voglio mantenerli, devo tenere questo livello. Non voglio mettermi pressione. Mi sto godendo il livello, le partite importanti che sto giocando”. A chi le chiede cosa le manca, cosa farà uscita dalla “bolla di Wimbledon”, ribatte: “Stavo molto bene anche qui!”.

Un tipo con i piedi per terra, Jasmine ripercorre un anno incredibile, “in cui ho imparato a credere di più in me stessa, sono più pronta fisicamente, ho migliorato il servizio e la risposta. E’ un insieme di tante cose, non una in particolare. E poi, vincere partite aiuta a vincere!”. Se tutto negli ultimi tempi sembra un sogno, “a volte mi spavento un po’ al pensiero di sognare troppo”.

Il circo del tennis mondiale quest’anno lascia Wimbledon per l’Olimpiade di Parigi e la mente di tutti gli atleti e dei loro team è già rivolta lì, anche per il rapido cambio di superficie, con il ritorno dall’erba alla terra rossa. “Mi riposerò un attimo, un paio di giorni senza giocare, ma poi di nuovo allenamenti sulla terra – afferma Jasmine – L’Olimpiade è un obiettivo importante (giocherà il singolare e il doppio con Sara Errani ndr), una competizione che ogni atleta sogna”.