Migliore in campo nel doppio, Pierre Hugues Herbert è un personaggio interessante. Dotato di grande personalità, se l'era presa pubblicamente con Noah ed è convinto di poter fare grandi cose anche in singolare. Intanto a Genova ha fatto il suo dovere. “Il pubblico? Così abbiamo goduto ancora di più”.

Osservandolo da vicino, fino quasi ad ascoltarne il respiro, abbiamo capito perché Yannick Noah aveva scelto lui e non Nicolas Mahut per la finale di Lille, contro il Belgio, quattro mesi fa. Separare un doppio fortissimo e affiatato fu una scelta difficile, impopolare, presa “tra le lacrime” come disse Noah. Ma se i muscoli di Mahut iniziano a sentire il peso dell'età, Pierre Hugues Herbert è stato il migliore in campo sia a Lille (in coppia con Gasquet) che a Genova, di nuovo con lo storico compagno. Quello stile tutto suo, a partire da un servizio che ricorda quello di John McEnroe, partendo spalle alla rete, lo rende un personaggio affascinante. E anche dalla forte personalità. Lo scorso novembre aveva sbottato contro la scelta di Noah. “Sì, perché aveva preso la decisione senza neanche vederci giocare, volevo che sapesse di aver commesso un errore”. Forse si sentiva in debito nei confronti di Mahut, la cui carriera da doppista non ha bisogno di presentazioni. “Il tennis è uno sport individuale, però gli sono molto grato. Quando si è ritirato il suo compagno Michael Llodra, avrebbe potuto scegliere un compagno più forte di me. Invece mi ha preso dal nulla, avevo appena vinto il mio primo ATP 500 in coppia con un polacco sconosciuto”. Correva l'anno 2014 e, insieme a Michal Przysiezny, si era imposto a Tokyo. Da allora è cambiata la sua carriera. Prima la finale in Australia (persa proprio da Fognini-Bolelli), poi undici titoli che li hanno portati in vetta alla classifica di specialità. Tra questi, due Slam (Us Open 2015 e Wimbledon 2016), oltre a sei Masters 1000. Ma la Davis è stato un boccone ostico da digerire, soprattutto per il giovane “P2H”, come lo chiamano i francesi. “Ho impiegato un po' di tempo ad abituarmi a questa competizione. Le cose sono state molto veloci, mentre ci vuole tempo per domarla e imparare a gestire le proprie emozioni”.

AMBIZIONI IN SINGOLARE
Il bilancio è comunque buono, giacché hanno perso solo una partita, nella semifinale del 2016 contro Cilic-Dodig. Per il resto, soltanto vittorie. Come a Valletta Cambiaso, dove il dolce Mahut dice di aver “avuto paura” quando la marsigliese dei tifosi francesi è stata sepolta dai fischi del pubblico italiano. Ma se Nicolas ha un carattere mite, Herbert ha personalità e futuro davanti a sé. Classe 1991, ha capito come ci si comporta in Coppa Davis. “La competizione è questa, non ci lamentiamo del pubblico. Anzi, ci ha permesso di godere ancora di più”. Longilineo, elegante sia nei movimenti che nei gesti tecnici. Basta guardarlo e capisci subito che è francese, un po' come si scriveva una ventina d'anni fa di Fabrice Santoro. L'accostamento non è casuale, poiché tra i due c'è stato un ammiccamento tecnico. Pierre Hugues è uno dei migliori doppisti al mondo, ma non si accontenta. Numero 79 ATP, di tanto in tanto ha dimostrato di valere – molto – anche in singolare. “Sento di stare progredendo – dice con orgoglio – in Davis non voglio soltanto il doppio, ma vorrei conquistare anche un posto in singolare. Per questo ho scelto Fabrice: conosce come pochi il gioco, inoltre a fine carriera il suo stile era proiettato verso la rete, un po' come il mio. Ma sapete una cosa? Da piccolo, il mio idolo era Guillermo Coria. Era ultraveloce, più intelligente degli altri, lo amavo molto”. Quando P2H aveva 12 anni, l'argentino sfiorava il titolo al Roland Garros ed esaltava i suoi sostenitori con la “vigorita”, mortifera smorzata di dritto. “Vi sembrerà strano, ma la mia superficie preferita è la terra battuta – dice Herbert – io amo le scivolate, le palle corte. Quando sto bene, credo che il mio servizio sia uno dei migliori al mondo. Però mi manca la costanza”.

UNA DAVIS DI INCENTIVI
In doppio l'ha trovata, offrendo alcune giocate spettacolari senza concedersi neanche un pizzico di distrazione. Da buon francese, è un sincero amante della Coppa Davis. Parlando delle possibili modifiche alla competizione, ha involontariamente svelato il segreto della squadra francese: gli incentivi, un vigoroso mix tra senso patriottico e ragioni economiche. “Discutendo di Davis con i giocatori stranieri, mi sono reso conto che hanno una visione diversa dalla nostra. In Francia c'è una grande cultura della Coppa Davis. Inoltre la FFT riversa quasi tutti i guadagni su giocatori, staff e capitano. Altrove non è così. Prendete Djokovic: magari gioca tre partite di cinque set in un weekend e poi raccoglie 10-20.000 euro. Con la nuova formula guadagnerebbe di più, non mi sorprende che sia d'accordo con l'ITF”. Sarà pur vero che il settore tecnico francese produce giocatori a gettito continuo, ma l'età media dei migliori giocatori francesi è piuttosto alta: se togliamo Pouille, P2H è l'unico top-100 nato negli anni 90 e vanta certamente maggiore esperienza di Quentin Halys e – soprattutto – Corentin Moutet, i giovani più promettenti. Per questo, Yannick Noah (o chi verrà dopo di lui) dovrà tenere in considerazione il ragazzo di Schiltigheim, che da piccolo giocava le gare a squadre per il TC Lampertheim e poi per il TC Strasbourg. A Genova, intanto, ha fatto il suo dovere.