Al terzo turno per la prima volta a Wimbledon dal 2021, Fabio Fognini in conferenza stampa si toglie più di un sassolino… a suo modo!
foto Ray Giubilo
LONDRA – Ma sì, è per vivere partite come queste, per tornare ad assaporare certe emozioni, «ad amare e odiare il tennis», come lui stesso ha detto subito dopo la vittoria su Ruud, che Fabio Fognini è ancora qui, a inseguire palline gialle, anche se la forma fisica magari latita e la voglia di faticare si attiva solo in palcoscenici come quelli dei grandi tornei. La mano benedetta, però, quella non è cambiata, è ancora in grado di dispensare magie in campo, come le smorzatine, i cambi di ritmo e i pallonetti che hanno ridotto spesso a comprimario il numero 8 del mondo.
«Uno con la mia mano, in Italia, deve ancora nascere!», è l’urlo che consegna ai posteri. «Sono felice, a 37 anni sono ancora in grado di combattere e vincere. Amo la competizione, queste partite mi fanno sentire vivo, ora devo recuperare bene e prepararmi ad affrontare il terzo turno, che non ho mai passato (questa è la quattordicesima esperienza londinese, ndc)».
Nel 2024 aveva passato due turni, Challenger esclusi, solo al torneo di Marrakech, mentre a Wimbledon non gli succedeva da tre anni, da quando nel 2021 batté Ramos Vinales e Djere prima di cedere in quattro set a Rublev. «Quest’anno ho giocato dove il ranking mi permetteva di farlo e ho prese delle scelte che poi ho capito essere sbagliate. Per esempio non giocherò più i tornei Challenger, perché mi hanno fatto diventare l’umore nerissimo e non ho voglia di perdere tempo». Contro Ruud si era portato velocemente in vantaggio per due set e 5-2 nel terzo, prima di subire un clamoroso black out da cui comunque è uscito alla grande. «Cosa è successo? Forse un po’ di fretta, un po’ di tensione, stava piovigginando e volevo chiudere la partita prima che potesse essere sospesa. Perso il terzo set sono rimasto calmo, mi sono ripetuto che comunque ero ancora in vantaggio io, e credo di essermi meritato il passaggio del turno».
Ora lo aspetta Bautista Augut, che ha battuto nove volte in 12 confronti diretti. «Le statistiche non mi interessano, devo pensare solo al mio gioco, non all’avversario».
Tentiamo una domanda più sul personale: se un figlio un giorno le dicesse, “voglio diventare un tennista professionista”, quale sarebbe la sua risposta? «Speriamo di no – le prime parole del campione ligure – comunque Federico (il primogenito, sette anni, ndc) gioca sia a calcio che a tennis, per ora. Io e Flavia (Pennetta, la moglie, ndc), siamo d’accordo nell’assecondare le sue passioni, nel volergli restare comunque vicini, privilegiando il suo divertimento senza mettergli pressioni, come è successo a noi due con le nostre famiglie. Poi vediamo, magari Federico deciderà di fare lo scienziato… Certamente, nel caso volesse provare con il tennis, gli descriverei uno sport bellissimo, che ha regalato a sua padre la notorietà e una bella vita, ma anche i sacrifici che ho dovuto fare e gli errori, che magari hanno ostacolato almeno in parte la mia carriera. E soprattutto gli direi di stare con gli occhi sempre bene aperti. Quello del tennis è un mondo falso ed egoista, dove abitano troppi pappagalli». Sipario.