La sentenza di primo grado dell’Operacion Puerto condanna Eufemiano Fuentes a 12 mesi ma ordina la distruzione delle sacche di sangue sequestrate nel 2006.
L’ex ciclista Tyler Hamilton testimonia in videoconferenza durante il processo Fuentes
TennisBest – 1 maggio 2013
Andy Murray si è domandato, via Twitter, se non sia il “più grande insabbiamento” nella storia dello sport. In effetti la sentenza di primo grado sulla celeberrima “Operacion Puerto” lascia basiti. Non tanto per la condanna al dottor Eufemiano Fuentes, diventato tristemente famoso per le pratiche dopanti cui avrebbe sottoposto decine di sportivi, quanto per l’incredibile decisione del giudice Julia Santamaria, la quale ha stabilito che a processo concluso (mancano ancora due gradi di giudizio), dovranno essere distrutte le 211 sacche di plasma e sangue sequestrate tempo fa e mai associate a nessuno. “Non solo ciclisti: sono venuti da me calciatori, tennisti, pugili…” ha detto Fuentes, 58 anni, in sede processuale. Lo scandalo è emerso nel 2006 e sembrava riguardare il solo ciclismo, poi si è esteso ad altre discipline. Tuttavia, mentre i ciclisti venivano messi alla gogna, nessun altro atleta è stato direttamente coinvolto. Il processo riguardava soltanto Fuentes e alcuni suoi collaboratori, tra cui la sorella Yolanda. Ne sono uscite tre assoluzioni, una condanna a quattro mesi per Ignacio Labarta e una condanna a dodici mesi per quello che, secondo molti, è stato il guru del doping nello sport spagnolo (e non solo). Fuentes non sconterà un solo giorno di carcere perchè in Spagna bisogna essere condannati ad almeno due anni. Lo hanno interdetto dalla medicina sportiva per quattro anni (ma non importa: oggi fa il medico di famiglia, e potrà continuare a farlo) e gli hanno comminato una multa ridicola: dovrà pagare 15 euro al giorno per 10 mesi (meno di 5.000 euro).
Fuentes è stato accusato di “attentato alla salute pubblica", perchè in Spagna non esiste una vera e propria normativa antidoping. Quella esistente è piuttosto generica e solo da qualche mese il Parlamento sta discutendo un pacchetto di norme che allinei il quadro legislativo a quello internazionale. E' clamorosa la decisione di distruggere le sacche di sangue senza associarle ai proprietari. Motivo? Nel 2006, ai tempi del sequestro, in Spagna non esisteva alcuna legge antidoping e quindi i diretti interessati non potrebbero essere in alcun modo processati. Il medico spagnolo è accusato di aver sottoposto gli atleti a trasfusioni di sangue con lo scopo di migliorare le prestazioni. Lui si è sempre definito innocente, sostenendo che le trasfusioni servivano a fare test e analisi sugli atleti. Nel frattempo alcuni dei ciclisti più vincenti degli ultimi anni (Jan Ullrich, Ivan Basso e Alberto Contador) sono stati sanzionati. Veemente la reazione degli organi antidoping. La WADA spera che l’agenzia nazionale spagnola faccia un appello efficace contro la decisione di distruggere le sacche di sangue, mentre Andy Parkinson (capo dell’agenzia antidoping britannica) ha detto: “Siamo molto delusi. Il dottor Fuentes ha ammesso di essere stato coinvolto in attività legate al doping, e di essere legato a diversi atleti senza nome. Non è giusto che quei nomi restino ignoti, senza che venga intrapresa alcuna azione”.
Durante il processo, Fuentes si era detto disponibile a collaborare e a identificare i nomi collegati alle varie sacche di sangue, ma il giudice gli aveva impedito di farlo. Sull’argomento si era espresso anche Rafael Nadal, sempre tirato in ballo (senza uno straccio di prova) quando si toccano questi argomenti. Intervistato da “L’Equipe” lo scorso febbraio, Nadal disse che dovrebbe essere permesso a Fuentes di fare i nomi. “Non capisco cosa sta succedendo in Spagna. Non capisco perchè Fuentes non dica i nomi e perchè il giudice non glieli chieda”. Si tratta di frasi importanti, che sgombrerebbero il campo da equivoci su un ipotetico coinvolgimento di Nadal nell’Operacion Puerto. Eppure non hanno avuto particolare risonanza. Il giudice ha detto “no” alle richieste di CONI, WADA, UCI e federazione ciclistica spagnola di utilizzare le sacche di sangue custodite a Barcellona. “Prevalgono le garanzie processuali e i diritti degli imputati” dice la sentenza. Il CONI aveva addirittura chiesto l’annullamento del processo, rigettato. C’è grande attesa per i successivi gradi di giudizio. Di certo la Spagna non ci sta facendo una gran figura: tutto farebbe pensare al desiderio di insabbiare un fenomeno emerso solo a metà. Chissà se la pressione dell’opinione pubblica internazionale condizionerà le prossime sentenze. Mai come oggi, lo sport avrebbe bisogno di trasparenza.
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