La sconfitta della Jabeur in finale a Wimbledon ha commosso tutti, la sua splendida reazione ci aiuta a comprendere la forza che la sostiene. Nella speranza che possa presto raggiungere quello Slam che insegue con tanta tenacia e passione

Donne e Bibbia. Capitolo straordinariamente ampio, ricco, variegato. Da Eva fino a Maria (o alle meno note Evodia e Sintiche, scoprite chi sono…), passando per Sara, Agar, Lia, Rachele, Ester, la splendida ragazza del Cantico dei cantici, Maria di Magdala e molte altre…

Donne e tennis. Confesso la mia colpa: da quasi quattro anni scrivo per Il Tennis Italiano e non ho mai parlato di match femminili… Ma ripensando alla finale di Wimbledon tra Ons Jabeur e Markéta Vondroušová di sabato scorso non ho potuto trattenermi. Per chi non avesse visto la partita, la cronaca è presto fatta: la ventottenne Jabeur, numero 6 del mondo, ha perso in due set (6-4 6-4) contro la ventiquattrenne ceca, numero 42 – ora 10, best ranking –, prima tennista non compresa fra le teste di serie a vincere a Church Road nell’era Open. In vantaggio in entrambi i set, la “Ministra della Felicità” tunisina si è persa, sbagliando tanti colpi facili, pur tra sprazzi di “un tennis organico, manifatturiero, non muscolarmente modificato” (copyright Direttore). Potremmo anche indugiare sul peso psicologico che probabilmente ha sopraffatto la Jabeur, quella di dover/poter essere la prima tennista africana, per di più di provenienza araba, a vincere uno Slam.

Ma quello che mi ha maggiormente colpito è stata la sua reazione a caldo, piena di pathos, sensibilità e intelligenza. Non credo che queste mie parole la consolerebbero, e forse ciò vale anche per quelle ben più autorevoli di Kim Clijsters che l’ha raggiunta negli spogliatoi per dirle che lei ha perso le sue prime quattro finali Slam, poi però ne ha vinte altrettante. Ma tant’è… Una giovane ragazza che ha giocato tre delle ultime cinque finali Slam, di cui due a Wimbledon, perdendo sempre, e questa volta da favorita, come reagisce?

Anzitutto trasformando i suoi dolci sorrisi in un pianto disperato sul Centre Court, che nemmeno la principessa Kate ha potuto consolare. “È la sconfitta più dolorosa della mia carriera”, ha esalato in un sospiro. Subito prima di fare i complimenti alla sua avversaria, con evidente sincerità pur nella tragicità umana del momento. Poi, scesa in conferenza stampa, ha dovuto per forza rispondere alle domande, con gli occhi lucidi. E qui ecco venire fuori tutta la sua stoffa, che può esserci di insegnamento. Solo qualche perla tra dichiarazioni non di maniera, a testimonianza del lavoro mentale su di sé svolto da chi pratica questo sport del diavolo. Si parte dal più classico: “Imparerò e tornerò più forte”, forse detto più per non soccombere. “Semplicemente Marketa metteva più palle in campo”, perché a volte la vita è questione di un net che ci irretisce e blocca per pochi centimetri i nostri sforzi. A volte è questione di cose semplici, anche se ci ostiniamo a non volerlo vedere.

Ma è su due frasi che vorrei concentrarmi. “Things take time with me”. Alla lettera: “Le cose prendono tempo con me”. Ovvero, per ogni capolavoro c’è bisogno di tempo. Quel tempo su cui tante volte abbiamo meditato, biblicamente e antropologicamente, in questo spazio. Ma quando verrà per Ons, quel tempo di cui scriveva Seneca a Lucilio: “Oh, quando vedrai quel tempo in cui saprai che il tempo non conta più per te…”? Quando? Quando giungerà l’oggi di lacrime di gioia? Presto, davvero presto, glielo auguriamo di cuore. Sarà il giorno in cui completerà il suo nome: Ons, che contiene dentro di sé un “no” e solo mezzo “sì”. Sì, cioè biblicamente “amen”. Amen, Ons, che quel giorno chiameremo insieme Onis.

E infine: “Non puoi forzare le cose. Oggi non era destino”. Qui davvero sospendo il giudizio. Il tema è troppo delicato. E sappiamo bene come certe volte bisogna dirselo, bisogna autoconvincersi, anche con una mezza menzogna, per non impazzire. E forse il non forzare è l’altro nome della pazienza, grande virtù che nelle Scritture significa larghezza di spirito (cioè visione in grande) e capacità di portare i pesi anche dei giorni più difficili. Ons sa bene di cosa si tratta, e noi?

A presto, cara Ons, magari già agli US Open. O quando sarà. Quel giorno vorremmo sentirti pronunciare la più semplice e pregnante delle parole bibliche, una delle pochissime pronunciate da Maria: “Eccomi!”. Eccoti, Onis!