Con un solo Fab Four in semifinale, Miami soffre sempre di più. E i progetti di espansione non bastano. Che fare per risollevarlo? O il cambio di superficie o l’inversione di data con Indian Wells.. 
Andy Murray è l'unico Fab Four in semifinale al Sony Open di Miami

Di Riccardo Bisti – 29 marzo 2013

 
Lo splendore del torneo di Miami è offuscato. L’affluenza in calo, certificata dal gran numero di posti vuoti, conferma che hanno sbagliato qualcosa. Qualche giorno fa è stato presentato il progetto di espansione: 50 milioni di dollari per costruire due nuovi stadi e migliorare le strutture. La novità ha alimentato una discussione su Twitter, in cui Sergiy Stakhovsky e l’ex pro Jonas Bjorkman si sono scambiati qualche opinione. “Non fanno niente dal 1994 – ha scritto Bjorkman – non hanno investito nulla e hanno intascato tutto”. I risultati si vedono, con Nadal e Federer che non ci hanno avuto dubbi a disertare. Come abbiamo riportato (peraltro condividendo), Paul McNamee ha suggerito che il torneo dovrebbe passare alla terra battuta. Il dibattito si è acceso, ma la riflessione deve essere più profonda. Un torneo dovrebbe pensare al bene proprio e dei giocatori, senza cercare di aspirare allo status di “Quinto Slam”, tanto effimero quanto inutile. Eppure a Miami ci tengono da matti, anche perché sono stati i primi ad avere due settimane in calendario e un tabellone a 96 giocatori. C’è stato un momento, fino a una decina d’anni fa, in cui dominavano il circuito. Oggi non è più così. Spostarlo sulla terra battuta lo trasformerebbe nel primo grande evento su terra battuta, rivoluzionando gli “swing” stagionali. Per quanto non abbia senso, il battibecco tra Indian Wells e Miami perdura ancora oggi. Negli anni 80 e 90, Miami era nettamente avanti. Erano gli anni di gloria del Lipton International. Indian Wells era un torneo come gli altri, con un tabellone a 64 giocatori come (quasi) tutti gli altri Masters 1000. Poi le cose sono cambiate nel 2004, quando il maxi-tabellone a 96 è stato istituito anche in California.
 
Ci sono due fattori che hanno messo in crisi Miami: in primis, la riduzione di eventi americani a febbraio. Dall’anno prossimo, resteranno i soli Memphis (peraltro declassato) e Delray Beach. Va ancora peggio con la WTA, che offre il solo torneo di Memphis. Questo significa che i giocatori europei trascorrono meno tempo negli Stati Uniti e hanno meno voglia di restarci. L’altra ragione riguarda il ritrovato appeal di Indian Wells. A parte i prize-money e le strutture, c’è la sensazione che i giocatori non vedano l’ora di arrivare a Indian Wells, mentre Miami interessa meno (sorelle Williams a parte, ma questo è un altro discorso). Indian Wells offre talmente tanto che tutti (giocatori, pubblico, addetti ai lavori) arrivano a Miami un po’ scarichi. La testa è già all’imminente Coppa Davis e ai tornei sulla terra. Con tutto il rispetto e l’ammirazione per Tommy Haas, difficilmente avrebbe potuto fare una cavalcata del genere a Indian Wells. C’è poi il discorso-superficie. Il campo di Miami (Laykold) è piuttosto lento. E’ così anche a Indian Wells, ma in Florida c’è il problema dell’umidità che rende tutto ancora più difficile. Per questo, il pssaggio alla terra non avrebbe chissà quale valenza tecnica (le condizioni sono già lente), ma di immagine. Pensate a quanta curiosità ci sarebbe nel vedere un Masters 1000 sulla terra verde…e non ci sarebbe bisogno di colorarla come ha fatto Tiriac a Madrid, visto che l’Har-Tru è superficie omologata (e apprezzata).
 
Miami su terra potrebbe dare una mano al tennis americano. Ne ha bisogno più che mai, con il solo Sam Querrey tra i primi 20. Secondo Josè Higueras (oggi tecnico USTA), l’assenza di campi in terra ha creato problemi ai giocatori americani su tutte le superfici. A suo dire, crescere sulla terra rende più completi i giocatori. Sviluppano meglio i colpi, imparano a muoversi meglio. Un grosso torneo su terra verde (il WTA di Charleston non basta) sarebbe un aiuto. Non ci sarebbe bisogno di chissà qualche rivoluzione, visto che in Florida ci sono molti campi in Har-Tru. E l’Orange Bowl (uno dei più importanti tornei junior) si gioca su questa superficie. Tuttavia, il cambio di superficie non risolverebbe il problema di calendario, con due grandi tornei uno dopo l’altro. Il vero problema è questo, al di là dei palliativi. E allora quale potrebbe essere la soluzione? Forse è più semplice di quel che sembra: invertire Indian Wells e Miami, facendo giocare prima quest’ultimo. Visto che il gap tra i due eventi è destinato a crescere, e i giocatori non rinuncerebbero all’evento di Indian Wells, potrebbero vivere Miami come un warm-up. Sarebbe umiliante per Adam Barrett e il suo staff, perché si certificherebbe l’inferiorità verso Indian Wells, ma è meglio ammetterlo e avere un grande campo di partecipazione o continuare a parlare di “Quinto Slam” con un solo Fab Four in semifinale?