Ufficializzata la squalifica a Marin Cilic: il croato è stato sospeso per 9 mesi con effetto retroattivo. Potrà tornare il 1 febbraio. Il silent ban non c’è stato, ma mancano chiarezza e tempestività. 
Marin Cilic a Wimbledon, sua ultima apparizione prima che gli comunicassero la positività

Di Riccardo Bisti – 17 settembre 2013

 
Nove mesi. E’ la squalifica comminata a Marin Cilic per aver ingerito una zolletta di glucosio acquistata dalla madre, al cui interno c’era la niketamide, sostanza presente nell’infinita lista proibita della WADA e sottoscritta dall’ITF. Finalmente la vicenda ha un risvolto ufficiale dopo che era emersa, forte e chiara, lo scorso 27 luglio. Il comunicato ITF spiega la linea difensiva del giocatore: la sostanza sarebbe entrata nel suo corpo tramite l’ingerimento di zollette di coramine glucose, acquistate per suo conto in una farmacia. Il tribunale gli ha creduto e ha deciso di applicare l’articolo 10.4 del programma, che dà diritto a una riduzione della squalifica. Per questa ragione, Cilic è stato squalificato con effetto retroattivo per 9 mesi anzichè 24. La squalifica decorre dal 1 maggio e scadrà alla mezzanotte del 31 gennaio 2014. Se la Croazia dovesse giocare in Coppa Davis quel weekend, in teoria Cilic potrebbe essere convocato e non giocare il singolare venerdì 31, ma essere schierato nel doppio e nell’ultima giornata. Ovviamente gli hanno tolto i punti e i dollari conquistati a Monaco di Baviera e nei tornei successivi. Su tutti, la finale al torneo del Queen’s, vinto nel 2012. Non ci sono altri dettagli: il comunicato si limita a dire che “a tempo debito” sarà pubblicata una decisione “ampiamente motivata”. Cilic ha rilasciato qualche breve dichiarazione, la prima dopo tre mesi di silenzio: “Vorrei sottolineare che non ho mai assunto, deliberatamente o consapevolmente, nessuna sostanza proibita. Sono contrario a qualsiasi uso di sostanze dopanti nello sport”. Cilic ha ricordato che è in corso un processo e risponderà alle domande quando sarà terminato tutto. Nel frattempo sta meditando di rivolgersi al CAS di Losanna, dove potrebbe ottenere una riduzione o addirittura l’annullamento della pena.
 
Se anche dovesse vincere, non cambierebbe granchè. La sentenza arriverebbe sul finire del 2013, il che gli consentirebbe di giocare l’Australian Open e riavere i montepremi guadagnati a maggio-giugno. Certo, la sua immagine sarebbe riabilitata, ma la storia dello sport insegna che non è facile rifarsi una verginità, anche quando ci sono sentenze favorevoli e magari l’atleta è davvero innocente. Il caso di Cilic, tuttavia, può avere una sua utilità a educare la troppa ignoranza emersa in questi mesi dai “complottisti” del doping. La parolina magica dell’estate è stata “silent ban”, ovvero una squalifica non comunicata ai media. La verità è che non c’è stato alcun silent-ban, almeno nel caso di Cilic. C’è stata una positività (il campione di urine è stato testato in un laboratorio di Montreal, in Canada), il giocatore è stato informato a quasi due mesi dal test e si è svolto un regolare processo, con le tempistiche di tutti i precedenti casi di doping (un po’ troppo lente, in effetti). Cilic ha deciso di auto-sospendersi (lo ufficializza il comunicato ITF, in cui si dice che ha accettato un’auto-sospensione volontaria), sebbene i regolamenti gli consentissero di giocare. La vicenda è esplosa a fine luglio perchè qualche lingua lunga ha riferito tutto ai media croati, che l’hanno sparata in prima pagina. E allora tutti a parlare di silent-ban, come se ci fosse la necessità di sparare a zero contro l’antidoping. Ribadiamo: non sappiamo se in passato sia successo qualcosa del genere: di sicuro non è il caso di Cilic, la cui unica differenza con altri casi (quello di Troicki, per esempio), è che un’indiscrezione giornalistica ha fatto emergere tutto prima che arrivasse la sentenza. Era successo otto anni fa con Mariano Puerta e tre anni fa con Wayne Odesnik. I complottisti, dunque, hanno basato le loro congetture sul nulla.
 
In tutta questa storia, tanto lineare da sembrare banale, c’è soltanto un punto oscuro (e grave): la menzogna raccontata da Cilic durante il torneo di Wimbledon, da cui si è ritirato parlando di un infortunio al ginocchio. Appassionati e addetti ai lavori sono stati presi in giro in nome della riservatezza. E poi per cosa? Per impedire che al giocatore venissero poste le stesse domande a ogni conferenza stampa (se avesse deciso di continuare a giocare?). Sarebbe stato più onesto comunicare che il giocatore aveva fallito un test antidoping ed era in corso un processo. Fino a quel momento, avrebbe potuto continuare a giocare. Comprendiamo che non sia facile andare ai tornei con una simile spada di Damocle, ma è altrettanto vero che gli appassionati sono stati presi in giro, soprattutto nel momento in cui la vicenda è diventata di dominio pubblico: ci sono voluti ben 51 giorni per arrivare a una sentenza. Per questa ragione, crediamo che l’ITF avrebbe potuto gestire meglio la vicenda. Nell’attuale sistema antidoping mancano due cose: la trasparenza e la velocità. Quando c’è un caso di positività, è opportuno renderlo pubblico in attesa di una sentenza. Ovviamente si metterebbe in imbarazzo il giocatore, ma è sempre meglio che giocare a nascondino. E poi, come ha chiesto più volte Rafael Nadal, i risultati e il numero dei test antidoping dovrebbero essere resi pubblici. Da non sottovalutare il discorso della velocità: appena c’è un caso, il processo si deve svolgere nel minor tempo possibile. Per l’amor di Dio, ci sono tempi tecnici da rispettare e carte da leggere, ma tre mesi sembra un tempo francamente eccessivo. Per chiudere, non ci fanno impazzire queste sanzioni “ibride”. In teoria, la prima positività viene sanzionata con due anni, la seconda con la squalifica a vita. Molto spesso, invece, accade che ai giocatori venga accordata la “non intenzionalità” del doping con riduzioni più o meno sostanziose. Secondo noi, una volta accertata la non consapevolezza dell'atleta, non dovrebbe esserci alcuna squalifica, magari un’ammenda. Insomma, o bianco o nero. Invece ci sembra che ci sia troppo grigio. Così come la generale situazione dell’antidoping. Troppe nubi, poca chiarezza.