In un'intervista alla stampa slovacca, Marian Vajda ha ammesso che l'uscita di scena di Pepe Imaz dal team Djokovic era tra le condizioni per il suo rientro. “Quando giochi devi pensare al tuo avversario, non a Buddha”. Quella chiamata dalla Repubblica Dominicana e le prime tracce del vero Nole.

Qualcuno è convinto che il numero 13 porti sfortuna. Non è il caso di Marian Vajda, storico allenatore di Novak Djokovic. Nella tredicesima settimana del secondo step all'angolo del serbo, lo ha affiancato in un trionfo Slam. Ovviamente, il numero 13. Lo dice con orgoglio, come se la numerologia avesse una qualche importanza in questo straordinario comeback. Novak ha accettato gli errori del passato: tra questi, il più grave è stato il licenziamento del coach slovacco, classe 1965 e un passato da discreto giocatore (ha vinto due titoli ATP negli anni 80 e raggiunto il suo best ranking nel 1991, al numero 57). Vajda aveva iniziato ad allenare da giovanissimo, seguendo i due migliori slovacchi di sempre: Dominik Hrbaty e Karol Kucera. Poi, nel 2006, la possibilità di allenare un serbo di belle speranze. È stato l'inizio di undici anni colmi di successi: se Novak vinceva, Marian era al suo fianco. Un legame capace di resistere all'irruzione di Boris Becker, entrato nel team Djokovic a inizio 2014, unico a cogliere successi importanti affiancandosi a Vajda. Per gli altri è stato un fallimento. Djokovic ha aperto gli occhi lo scorso marzo, dopo l'umiliante sconfitta a Miami contro Benoit Paire. Era rientrato troppo in fretta dopo il piccolo intervento al gomito, ma non trovava una via d'uscita. Per la prima volta dopo due anni è andato in vacanza, in Repubblica Dominicana. Tra una spiaggia e un drink, ha telefonato a Vajda. “Ero a casa e abbiamo parlato quasi un'ora – ha rivelato il coach slovacco in una lunga intervista con il magazine slovacco "Sport" (parte 1parte 2) – mi ha chiesto cosa pensassi del suo gioco e ha ventilato la possibilità di tornare a lavorare insieme. Non trovava il team giusto, si paragonava continuamente al passato”. Un passato che, curiosamente, oggi bussa con un anniversario: era il 23 luglio 2006, dodici anni fa, quando Novak vinceva il suo primo titolo ATP, sulla terra olandese di Amersfoort. Quel giorno, Vajda era con lui.

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AGASSI AL POSTO GIUSTO, MA AL MOMENTO SBAGLIATO
Il tecnico slovacco si è preso quattro giorni di tempo, poi ha accettato. Buona parte del merito va alla sua famiglia, che lo ha spinto verso il sì. In fondo, era a casa da un anno (“Una pausa che mi ha aiutato molto a rilassarmi”). Aveva ricevuto diverse offerte, tutte rifiutate. D'altra parte è dura ripartire con qualcun altro dopo aver allenato Novak Djokovic. “Con lui ho sperimentato tutto, qualsiasi vittoria”. I due si sono ritrovati a Marbella, per due sedute di tennis al giorno, sulla terra battuta. Senza dimenticare una grande attenzione alla preparazione fisica, resa possibile con il ritorno del preparatore atletico Gebhard Phil-Gritsch e il valido supporto del fisioterapista Ulises Badio, di cui vi abbiamo già parlato. Ritrovare punti di riferimento familiari ha dato una mano a Djokovic, reduce da un periodo complicato. “Ho parlato spesso con Stepanek, era davvero interessato a capire Nole – racconta Vajda – credo che lui e Agassi si siano trovati nel posto giusto, ma al momento sbagliato. Ma quando ho ritrovato Nole, gli ho detto che la mentalità americana di Agassi è diversa dalla nostra, slava”. Forse Nole pensava che sarebbe stato più semplice trovare uno come Boris Becker, abile a trovare la chiave per migliorare il suo rendimento. Non è stato così. Tra le condizioni poste da Vajda per il ritorno in sella, c'è stato l'allontanamento di Pepe Imaz, ex giocatore spagnolo che ormai sarà ricordato come “guru” per i suoi metodi alternativi, come la “terapia” a base di abbracci e il motto “Amore e Pace”.

"SE GIOCHI A TENNIS NON PENSI A BUDDHA"
“In effetti ho spinto in questo senso, ma non era la condizione numero 1 – ha detto Vajda – come prima cosa dovevo vederlo di persona, poi stabilire regole e piani specifici. A Barcellona abbiamo avuto la possibilità di ritrovarci con tutto il team e abbiamo discusso, chiedendogli che fattori esterni non lo condizionassero più. Il tennis non può essere incentrato sulla filosofia: quando hai un avversario devi pensare a lui, a dove tirare la palla. Non devi pensare a Buddha. Novak lo ha capito e ha lavorato duro”. Ricostruire un campione passa da tanti tasselli. Tra questi, una condizione fisica impeccabile. Djokovic si è sempre distinto, ma negli ultimi due anni era diventato troppo magro. Il ritorno di Phil-Gritsch lo ha aiutato a rimettere su una discreta massa muscolare, aiutandolo anche nell'alimentazione. “Nole ha bisogno anche di proteine animali, altrimenti è dura. Quindi ha mangiato parecchio pesce, ha ritrovato una giusta nutrizione e adesso è in condizioni perfette”. A Wimbledon si è visto, sia nel match-maratona contro Rafael Nadal che in finale, quando ha effettuato alcuni recuperi da urlo. Non tutti ricordano che la collaborazione era partita “in prova”: i risultati, tuttavia, hanno consentito un rapido prolungamento per tutto il 2018, poi si vedrà. Difficilmente Djokovic se lo farà scappare un'altra volta, vuoi perché con lui in panchina ha raccolto i suoi successi più importanti, vuoi perché anche Vajda si è ricaricato: un anno fuori dal circuito gli ha fatto trovare nuove energie. “E Novak lo ha percepito”. A Madrid si sono visti i primi segnali di un vero Djokovic, poi c'è stata la parentesi negativa del Roland Garros. “Ma gli abbiamo dato nuove energie e si è subito focalizzato sul Queen's” ha concluso Vajda, che in occasione del torneo di Madrid ha anche giocato a padel con il suo allievo. Non è andata troppo bene, ma non fa niente. Ciò che conta è che il tennis ha ritrovato un grande protagonista. Sarà contento anche Pepe Imaz, a cui bisogna dare atto di essere uscito di scena in silenzio, con grande signorilità.