AMARCORD – Abbiamo sempre ricordato il weekend di Santiago dalla prospettiva italiana, ma all'Estadio Nacional c'erano anche i cileni. Tra emozioni e ricordi (molto) sbiaditi, Fillol e compagni ammettono che speravano di farcela e attribuiscono la sconfitta a due fattori: i troppi allenamenti e la grande pressione dei media.

Interviste, filmati, libri. Il quarantennale dall'unico successo italiano in Coppa Davis è stato celebrato nel migliore dei modi. Il weekend dell'Estadio Nacional di Santiago del Cile è più leggenda che storia, anche per la (quasi) totale assenza di immagini. Ma è stata ricorrenza anche per i cileni. In fondo, anche se non hanno vinto, Jaime Fillol, Patricio Cornejo e Belus Prajoux hanno scritto una pagina memorabile per lo sport cileno. E noi, immersi nelle polemiche sull'opportunità se andare o meno a Santiago, ci siamo persi l'altra parte della storia. Una storia che racconta di una squadra abbastanza simile alla nostra, solo un po' più debole. Una buona squadra, che l'anno prima aveva raggiunto la semifinale contro la Svezia di Bjorn Borg. Si giocò a Bastad e Fillol, per poco, non batteva l'orso svedese. Vinse il primo, si trovò 5-2 nel terzo…avesse vinto, chissà. Per i cileni, giocare in trasferta era un problema. L'eco degli orrori del regime di Augusto Pinochet era arrivata anche in Europa. A Bastad, Luis “Lucho” Ayala e i suoi ragazzi arrivarono con 24 ore di anticipo e dormirono negli spogliatoi. E trascorsero l'intero weekend sorvegliati a vista dalla polizia, accompagnata dai cani lupo. L'anno dopo, invece, giocarono sempre in casa. Prima superarono l'Argentina di un giovane Guillermo Vilas, poi rimontarono da 1-2 contro il Sudafrica. Anche la semifinale avrebbe dovuto giocarsi all'Estadio Nacional, ma l'Unione Sovietica rinunciò alla trasferta per ovvie ragioni politiche. E così ci fu il lungo avvicinamento alla finale contro l'Italia. “C'era un'attesa incredibile – racconta Cornejo, nettamente battuto da Panatta nel secondo singolare – vennero giornali, radio, TV….non ci hanno lasciati tranquilli e questo ci ha deconcentrato. Alloggiavamo all'hotel Sheraton, dove c'era una festa ogni sera. Per non sentire il rumore, dovevo mettere l'aria condizionata. Anche per questo, mi sono preso la pericardite”. Già, perché Cornejo non poté giocare nella terza giornata per un problema al cuore, sostituito da Belus Prajoux, la cui vittoria contro Tonino Zugarelli gli valse i complimenti di Pinochet. “Prima della sfida, il generale Leigh ci ha invitato a una cena, mentre il lunedì successivo siamo stati ricevuti da Pinochet – racconta Prajoux, unico del gruppo a non aver partecipato alla rimpatriata – il presidente chiese chi aveva raccolto l'unico punto. Quando dissi che ero stato io, mi fece i complimenti”.

NIENTE POLITICA
Il tempo rende i ricordi mitici, ma anche sfumati. Ascoltando i cileni, sembra che le ragioni della loro sconfitta siano due: l'eccessiva pressione dei media e gli allenamenti troppo duri. Sentite Prajoux: “Ci siamo allenati per un mese prima che arrivasse Ayala, eravamo sempre in campo. Ed è quello che testimoniò Canal 13, quando ci seguì per un giorno intero per un reportage”. Secondo Jaime Fillol, i padroni di casa si sono allenati troppo. “Panatta faceva una sgambata, mentre noi non uscivamo mai dal campo”. Gli fa eco il fratello minore Alvaro, che nel 1976 era il quarto uomo, il ragazzino, la mascotte del team. “Tra gli italiani, Paolo Bertolucci non si allenava. Noi non facevamo altro, al punto che vennero alcuni calciatori a chiederci come mai corressimo così tanto”. L'unico ad avere una visione più globale è Cornejo: “Ad essere sincero, gli italiani avevano più esperienza di noi”. Tuttavia, Fillol Jr. è convinto che sarebbe stata una finale diversa se i cileni avessero saputo delle difficoltà psicologiche degli azzurri, sfibrati dalle polemiche antecedenti alla partenza. “In effetti sono venuti diversi giornalisti – interviene Prajoux – ma non solo per il tennis, ma perché nello stadio accanto c'erano i prigionieri politici”. I quali, ovviamente, furono accuratamente nascosti dal regime. Come ci aveva detto Bertolucci qualche anno fa: “Non dico che i prigionieri non ci fossero: di sicuro non ce li fecero vedere”. Parlare di politica, di Pinochet, di dittature e crimini contro l'umanità non fa piacere ai cileni. Come gli argentini, non amano ricordare certe cose. E' come se la memoria fosse anestetizzata dalla vergogna, dal desiderio di cancellare, o forse da una coscienza non proprio intonsa. L'unico che dice qualcosa è Prajoux,. “I giornalisti italiani ci hanno fatto diverse domande su questo, anche sul significato politico di quella Davis. Mi hanno detto che la coppia italiana aveva giocato con la maglietta rossa….sinceramente non me lo ricordavo”.

RICORDI IMPRECISI
Si è parlato poco della vicenda agonistica: il successo italiano, in effetti, non fu mai in discussione, però i padroni di casa ci credevano. “Sicuro, pensavamo di poter vincere – dice Jaime Fillol – con Adriano Panatta partivamo alla pari, così come con Corrado Barazzutti. Ci credevamo, in effetti ho vinto facilmente il primo set contro Barazzutti, poi non so cosa diavolo sia successo. Purtroppo non esiste una registrazione che possa rispondere a questa domanda”. Il progetto era chiaro: vincere i due singolari su Barazzutti e il doppio, anche perché – secondo i ricordi dei cileni – proprio Fillol aveva battuto Barazzutti a Madrid. E quando il sorteggio stabilì proprio Fillol-Barazzutti come primo match, pensarono che il tavolo fosse apparecchiato per il successo. Niente di tutto questo: Corrado vinse in quattro set e aprì la strada al successo azzurro. I ricordi dei sudamericani, tuttavia, sono piuttosto imprecisi: Fillol vinse il secondo set e non il primo, e soprattutto quell'anno non aveva assolutamente sfidato Barazzutti. Ma tant'è. Oggi l'Estadio Nacional c'è ancora: nel 2011 ha ospitato lo spareggio che ha ridato all'Italia il World Group dopo 11 anni di purgatorio, ma in questo momento ci sono solo le tribune. Niente terra rossa, niente reti in mezzo. Ci sono i lavori in corso. I ricordi materiali sono stati lavati via dal tempo, e per loro è doloroso non avere quasi più nulla di quell'avventura. “Il premio complessivo fu di 5.000 dollari – sospira Prajoux – e non c'erano i gadget di oggi. Di quella partita mi restano soltanto un paio di spille e un piatto celebrativo”. “Ok, sarebbe stato meglio vincere – esala Cornejo – ma è andata così. Fu una bella avventura, il coronamento di tanti anni di lavoro”. Se un successo dell'Italia, ad oggi, sembra improbabile, una Davis cilena è fantascienza. Però nella squadra attuale c'è Nicolas Jarry, lungagnone che è un po' il ponte tra tradizione e modernità. Già, perché è il nipote di Fillol. Lo scenario è suggestivo, ok, ma la suggestione resterà tale. Se non hanno vinto la Davis nemmeno con Rios, Massu e Gonzalez….

40 ANNI FA, SANTIAGO DEL CILE 
IL RISCATTO DI ZUGARELLI (Federico Ferrero)