Nonostante sia affetto da sordità, il giovane coreano Duck Hee Lee entrera nel ranking ATP a meno di 15 anni. Sogna di diventare numero 1, adora Federer ma ha già incassato i complimenti di Nadal. 
Un intenso primo piano di Duck Hee Lee

Di Riccardo Bisti – 11 aprile 2013


Oggi più che mai, la gente ha bisogno di storie. Forse anche di favole. Gli americani si sono commossi per la vicenda di Jack Hoffman, bimbo di 7 anni con un tumore al cervello. Tra una chemioterapia e l’altra, ha coronato il sogno di fare touchdown in un match di football americano. La sua corsa di 70 metri ha fatto il giro del mondo. Più o meno nelle stesse ore, anche il tennis ha trovato la sua storia. Tanti la conoscevano, ma è diventata favola quando Duck Hee Lee ha battuto Masatoshi Miyazaki al primo turno del future giapponese di Tsukuba. Ne hanno parlato i media specializzati di tutto il mondo. Era un obbligo, perchè la vita di Duck non potrà mai essere normale. Il coreano, che compirà 15 anni il prossimo 29 maggio, è sordo dalla nascita. In un tabellone con 31 giocatori dagli occhi a mandorla (l’unico estraneo era il tedesco Adriano Quinti), Duck sarebbe passato inosservato. Ma le sue quattro vittorie (qualificazioni comprese) lo hanno fatto entrare nella storia. Lunedì 15 aprile, a 14 anni e 321 giorni, entrerà nel ranking ATP. E' il secondo più giovane di sempre a riuscirci. Meglio di lui ha fatto solo il fenomeno americano Stefan Kozlov. Duck si porta dietro l’handicap da sempre e ormai ci ha fatto l’abitudine "Credetemi, i problemi che ho non sono niente di particolare". Difficile raccontare qualcosa che non si sappia già: per lui, la comunicazione è uno sforzo enorme. A Melbourne, quando un plotone di giornalisti ha chiesto di lui, si è sottoposto a un mitragliamento destreggiandosi come meglio poteva: lui comunicava a gesti e movimenti delle labbra con il coach, Kyung Heeon Park. Quest’ultimo intuiva i messaggi e li comunicava, in coreano, all’interprete che traduceva in inglese. Tutte cose immaginabili. “La mia più grande difficoltà è la comunicazione con arbitri e giudici di linea. Mi capita spesso di continuare un punto perchè non sento le chiamate, oppure di ripetere un servizio perchè non capisco che l'avversario chiede tempo”. Il suo coach crede fermamente in lui. Dice che l’handicap non ne ha mai limitato il rendimento. Duck si allena come se fosse un atleta normale (in fin dei conti, è un atleta normale). Tecnica, preparazione fisica…e il tipico autocontrollo orientale. Nel suo caso è ancora più accentuato.
 
“Guardate che la mia condizione ha anche dei vantaggi. Non vengo distratto dai rumori, quindi mantengo più facilmente la concentrazione. E poi il tennis è la mia vita”. Suo padre l'ha spedito in campo quando aveva sette anni. Già top 100 junior, a Melbourne si è misurato con Christian Garin, vincitore di match ATP e davisman cileno (anche se ha perso il match decisivo in Ecuador). Ha perso 6-3 6-3. Poi è arrivato l’exploit di Tsukuba, ossigeno per chi ama le belle storie. Ed è significativo che arrivi dalla Corea, un paese che oggi vive sul filo del rasoio. Da quando Kim Jong-un, presidente della Corea del Nord, spaventa il mondo intero con le sue minacce missilistiche, la Corea è sempre più isolata. E anche se Pyongyang è piuttosto lontana dalla provincia di Chuncheon, dove si trova Jechon (città natale di Hee Lee), la paura arriva forte e chiara. Lui prova a esorcizzarla con il suo tennis. La sua storia è arrivata a Rafael Nadal, che gli ha addirittura dedicato un tweet. Lo scorso 5 aprile ha scritto: “Una storia come quella di Duck Hee Lee ci insegna dove possiamo arrivare se lottiamo! E’ il giocatore più giovane dell’ATP”. Rafa non si arrabbierà quando scoprirà che l’idolo di Duck è Roger Federer. Vuole diventare come lui, lo adora da quando ha potuto vederlo qualche anno fa in un’esibizione in Corea del Sud. All’Australian Open si sono incrociati negli spogliatoi, ma Federer non lo ha riconosciuto. Lui ci è rimasto male, ma ha subito capito che il modo migliore per farsi conoscere è vincere le partite. Così ha pensato bene di entrare nel ranking ATP.
 
Lee arriva da un paese senza alcuna tradizione tennistica. Anzi, c’è un precedente inquietante. Woong-Sun Jun oggi ha 27 anni e langue al numero 953 ATP, ma nel 2004 aveva chiuso l’anno tra i top 10 junior. Doveva essere un campione, un rivoluzionario. Purtroppo per lui, non si è nemmeno avvicinato ai top 200. E allora il punto di riferimento resta il mitico Hyung Taik Lee, ritiratosi nel 2009 e due volte negli ottavi allo Us Open. June-Choi Hee, suo storico coach, una volta disse: “Hyung? In Corea è come una pianta fiorita in mezzo al deserto”. Anche Lee aveva il problema della comunicazione. Parlava soltanto in coreano “Perchè l’inglese è troppo difficile e a me non piace studiare” disse con ingenuo candore. Nel 2000, quando raggiunse gli ottavi allo Us Open, prima di affrontare Pete Sampras dovette fare una telefonata d’urgenza a Seul: il suo coach doveva insegnargli 2-3 parole da dire in caso di vittoria. Quella volta non fu necessario, ma le parole diligentemente memorizzate gli servirono tre anni dopo, quando vinse il torneo ATP di Sydney battendo in finale Juan Carlos Ferrero. Anni fa, gli chiesero come faceva a comunicare con gli altri giocatori. Inizialmente disse: “In inglese”, poi passò al “konglish” (antesignano del mitico spanglish di Rafa Nadal), fino a diventare sincero: “Comunichiamo a gesti”. Se la vicenda di Duck Hee Lee non avesse un retrogusto amaro, sarebbe quasi divertente considerarlo il suo erede…all’ennesima potenza. Per sua sfortuna, Duck fatica a intendere il coreano. Non gli si potrà chiedere di più, nemmeno se un giorno dovesse coronare il sogno di diventare numero 1 ATP. Ma il tennis, come tutti gli sport, ha un vantaggio eccezionale. Parla una lingua universale, bellissima e comprensibile per tutti. Duck la conosce molto bene. E magari ha trovato il modo di piantare una seconda pianta nel deserto del tennis coreano.