Il ligure esce dal Centrale di Roma battuto da Rosol e dai fischi. Che nel tennis non sono di casa, e non dovrebbero diventarlo … da Roma, GABRIELE RIVA

da Roma, Gabriele Riva – foto Getty Images

 

Fiaschi per fischi. O qualcosa di molto simile. Il boato che ha accompagnato l'uscita dal campo di Fabio Fognini non è di quelli che si sogna da bimbi. Persa la partita, e non del tutto la testa – almeno non come in altre recenti occasioni – contro il ceco Lukas Rosol, il n.1 azzurro, 13 del mondo, è stato investito dal ruggito calcisticheggiante del centralone.

 

Premesso che i fischi, chiunque li subisca, non profumano di tennis, ne va comunque compresa la genesi. Non odierna, probabilmente. Sicuramente non del tutto. Perché Rosol ha fatto i buchi per terra dal game 1 e non ha smesso fino alla fine. 'Fogna' non ha trovato il modo di cambiare il vento. Mai. All'inizio del secondo set, a partita incanalata ma non ancora decisa, si percepiva forte l'impossibilità di trovare una chiave alternativa, uno scalpello che smussasse spigoli e sicurezze del lungagnone martellante.

 

Non si vedeva, per parlar chiaro, una chiave tecnica che potesse invertire il senso, o il verso – tanto di moda. Non che Fognini non l'abbia, in senso assoluto, nel talentoso repertorio. Solo che non si trovava, non oggi.

 

Fischi figli di un ieri piuttosto vicino quindi, non della stretta attualità. Dell'ultimo mese e mezzo, con beneficio d'inventario: periodo nel quale chiunque ha detto e scritto di tutto. Troppo, tutti. Metteteci il bollore dell'attesa e la fame di avere un azzurro davvero competitivo a Roma, fino in fondo, non per finta. E il minestrone è cotto. Come antipasto, in questi primi bocconi d'Internazionali 2014, ci si poteva augurare di meglio. Ma se Mazzarri, fischiato dai suoi tifosi – colleghi di sciarpa del Fabio calciofilo – ha detto di non aver sentito, Fognini ha fatto sapere sogghignando di “averli meritati: perché sono io il primo a essere deluso da quel che ho fatto oggi sul campo. Come, e forse anche più, di loro”.

 

Parole del post gara, sempre condizionate dai filtri da conferenza stampa e da microfoni spianati. Il torneo ha perso sì un protagonista importante (trovando magari una mina vagante non da ridere), ma ha anche lasciato la fame azzurra di cui sopra libera di fustigare le patrie budella. A placarla, soltanto quel minestrone là. Non proprio profumato, e per di più inasprito dai fischi. Fischi che il tennis non conosce di persona e cui non dà del tu. 

 

Manteniamo le distanze, poca confidenza e rimaniamo al 'Lei'. Ne gioveranno tutti, Fognini compreso. Gli spalti non sono giudici e i fischi non sono sentenze. Non nel tennis.