WIMBLEDON – Del Potro gioca una partita eccezionale, porta Djokovic fino al quinto set ma finisce la benzina a pochi metri dal traguardo. Il serbo si conferma ancora un osso durissimo.
Novak Djokovic ha avuto bisogno di quasi 5 ore per battere un grande Del Potro
Di Riccardo Bisti – 6 luglio 2013
Qualcuno, forse esagerando, lo ha già definito uno degli incontri più memorabili nella storia di Wimbledon. Ci andremmo cauti, anche perché lo spettacolo offerto da Novak Djokovic e Juan Martin Del Potro sembrava più adatto a Melbourne Park o a Flushing Meadows che alla sacra erba di Wimbledon, ma non c’è dubbio che sia stata una gran bella semifinale. Il verdetto dà ragione a Djokovic, vincitore con il punteggio-monstre di 7-5 4-6 7-6 6-7 6-3 in 4 ore e 43 minuti di battaglia furibonda, fatta di randellate da fondocampo senza pietà. La (relativa) amarezza sta tutta lì: questo tennis lo vedi sul cemento, mentre sull’erba ti aspetteresti qualcosa di diverso. Ma l’epica c’è stata, soprattutto quando “Palito” ha cancellato due matchpoint consecutivi nel tie-break del quarto set, giocando quattro super-punti che lo hanno portato da 4-6 a 8-6. A quel punto poteva succedere di tutto. In verità, è successo l’impensabile: per la prima volta dopo la Guerra delle Falkland-Malvinas, gli inglesi hanno tifato per un argentino. Del Potro è piaciuto per l’atteggiamento positivo e le soluzioni balistiche, semplicemente impressionanti. Il dritto incrociato in corsa fa paura, c’è già materiale per un lungometraggio su Youtube. E poi il cuore, la volontà di non arrendersi a un fisico che chiedeva pietà. Dall’altra parte, Djokovic ha sopperito a una giornata così così con l’ostinazione e un servizio mai così efficace. Non aveva mai tirato la prima di servizio con cotanta efficacia. “E’ stato uno dei migliori match a cui ho preso parte – ha detto il serbo – uno dei più esaltanti. Nessuno riusciva a staccare l’altro. Entusiasmante”. Da quando hanno messo orologi e radar attorno al Centre Court, è stata la più lunga semifinale di Wimbledon, durata appena cinque minuti in meno rispetto alla leggendaria finale del 2008 tra Roger Federer e Rafael Nadal.
Per raggiungere la sua undicesima finale Slam (ad oggi ne ha vinte sei su dieci), il serbo ha dovuto giocare 55 games e 368 punti, più che sufficienti a superare il record precedente, almeno a livello di semifinali. Un record che risaliva al 1989, quando Ivan Lendl tenne testa a Boris Becker per quattro ore e un minuto. Una maratona che ha obbligato Murray e Janowicz a iniziare il loro match alle 18.15 locali. E meno male che c’è il tetto e la possibilità di illuminare il Centre Court, altrimenti ci sarebbe stato il rischio di un’interruzione per oscurità. Il pomeriggio, con il suo gioco di luci-ombre, è stato tutto del serbo e dell’argentino. “Si è visto un tennis di alto livello, ma me lo aspettavo – ha detto Djokovic – ero pronto per giocare cinque set e sono rimasto attento e concentrato fino alla fine”. Del Potro non è sembrato risentire dei problemi al ginocchio sinistro. Era fasciato, ma ha corso come sempre. Con i suoi limiti (ovvio, per un lungagnone di 198 centimetri), ma senza particolari condizionamenti. Djokovic ha giocato molte palle corte, come a testarne le condizioni fisiche. Il serbo è stato bravo a restare sempre con la testa nel match, anche quando avrebbe potuto uscirne (nel secondo set, quando ha sciupato alcune palle break sul 3-2 e poi ha perso il servizio nel game successivo, o dopo il drammatico tie-break del quarto). Soltanto lui, con la sua granitica solidità mentale, avrebbe potuto vincere. Del Potro ha tirato alcuni dritti a 150 km/h che avrebbero piegato le braccia a chiunque. “Nole” ci arrivava lo stesso e la mandava di là. Magari perdeva lo stesso il punto, ma minava le certezze dell’argentino.
“Nelle situazioni difficili, Del Potro ha la capacità di tirare fuori dei colpi incredibili, oltre l’immaginazione”. E’ quello che ha fatto nel terzo set, quando ha addirittura chiesto l’high five a uno spettatore un po’ sonnacchioso. Il match è girato nel tie-break del terzo, quando sul 3-2 in suo favore, Del Potro non ha chiuso uno smash elementare e ha messo in rete il seguente. Il set è volato via, e chissà cosa sarebbe successo se lo avesse vinto. Nel quarto, Djokovic ha preso un break di vantaggio ma è stato immediatamente riacchiappato. Nel tie-break, con entrambi i piedi sul cornicione, l’argentino ha tirato fuori alcune soluzioni impressionanti e ha allungato la pugna. Ma il fisico era al lumicino, la benzina non c’era più e il quinto è stato un lento scivolare verso la sconfitta. Il break decisivo è arrivato all’ottavo game, e stavolta non c’era più spazio per miracoli. Sul piano strettamente tecnico, Palito ha giocato meglio e forse avrebbe meritato di vincere, ma difficilmente nel tennis si vince senza meriti. E Djoker, ancora una volta, ha tirato fuori le carte migliori nel momento del bisogno. Per lui sarà la seconda finale a Wimbledon dopo quella di due anni fa, vinta contro Rafael Nadal. Al di là di tutto, è un esempio. Una testa da studiare. Magari si potesse clonare…
WIMBLEDON 2013 – UOMINI
Semifinali
Novak Djokovic (SRB) b. Juan Martin Del Potro (ARG) 7-5 4-6 7-6 6-7 6-3
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