INDIAN WELLS – La vittoria contro un ottimo Federer mostra a Djokovic quello che desiderava: un rendimento migliore nei momenti importanti. Anche se Becker non c’era…
Il Nuovo Djokovic non lascia spazio a fronzoli ed esultanze sfrenate
Di Riccardo Bisti – 17 marzo 2014
Mentre passava una canzone più che mai azzeccata (Hall of Fame, dove certamente entrerà tra una dozzina d’anni), Novak Djokovic ha preso il trofeo di Indian Wells e l’ha alzato al cielo. A Flavia Pennetta avevano risparmiato lo sforzo, ma lui avrebbe alzato anche una montagna. Aveva troppa gioia, sollievo, libidine per essere tornato a vincere dopo due mesi di incertezze. Dimenticando le 24 vittorie con cui aveva chiuso il 2013, lo avevano criticano per l'assunzione di Boris Becker e le sconfitte in Australia e a Dubai avevano assunto il sapore di una sentenza. Ma Nole non ha mollato il suo progetto. E nel momento del bisogno, contro un grande Roger Federer, ha tirato fuori il meglio di sè. Aveva chiamato Becker per questo, e finalmente il primo titolo è arrivato. Curiosamente, il successo arriva in uno dei pochi tornei in cui il tedesco non era al suo angolo. Come annunciato a inizio stagione, a Indian Wells c’era Marian Vajda. Qualche critico potrà ironizzare sulla coincidenza, ma non c’è dubbio che Djokovic abbia finalmente ottenuto quello che voleva. Perchè la tattica e la tecnica, contro Roger Federer, sono risapute. Ci voleva un click sul piano mentale, e non era facile. Vuoi perchè lo svizzero sta giocando alla grande (veniva da 11 vittorie consecutive), vuoi perchè Nole aveva giocato un brutto torneo. Non capita spesso che un tennista vinca un Masters 1000 lasciando per strada quattro set. Lui lo ha fatto, dedicando proprio a Vajda l’abbraccio più bello. Al di là delle dichiarazioni di facciata, era chiaro che per il coach slovacco era un declassamento. Dei 16 tornei in programma nel 2014, Becker ne farà dodici. Dopo Indian Wells, rivedremo Vajda a Madrid, Toronto e Pechino.
E’ stata una bella partita, con temi tattici già visti decine di volte. Diversi i contorni psicologici. Djokovic non fa più l’istrione, non esulta più come un pazzo durante e dopo le partite. Magari gli hanno detto che sprecava troppe energie. Allora, indossando una tenuta grigio-operaio (curiosamente, lo stesso colore della polo di Federer), ha giocato la partita dell’umiltà. Federer è partito sparato, infilando il break in avvio. Era uno spettacolo, come se questa finale fosse la prosecuzione dell’incontro con Dolgopolov. Ma Djokovic è un’altra cosa. Ha utilizzato il primo set come appoggio per prendere la rincorsa, incassare qualche certezza e prendere le misure a Federer. Nonostante un vento che lo faceva giocare con circospezione, ha trovato le risposte che cercava. In primis, ha messo a posto il servizio, poi è diventato via via più competitivo anche in risposta. Sotto 6-3 e 3-3, si è trovato 30-30 sul proprio servizio. Ha capito che era il momento-clou, dove spesso era mancato in passato. E stavolta è venuto fuori. Si è salvato e ha intascato sei dei successivi sette game. Il break che gli regalava il set arrivava sul 4-3 (dritto largo di Federer), poi aveva una palla break in avvio di terzo (annullata da una splendida combinazione servizio-dritto dello svizzero). Spettacolo assoluto sull’1-1 del terzo. Djokovic non sbagliava neanche a sparargli, e si procurava tre palle break. Ma Federer è di nuovo lui: annullava la prima con un dritto a uscire, un colpo molto simile a quello che ispirò David Foster Wallace nella sua descrizione dei “Momenti Federer”. Tra l’altro, era stato disturbato prima di servire, e ha ‘dedicato’ con un urlaccio il ‘winner’ a chi aveva strillato. Non pago, annullava la seconda con un ace.
Ma di là c’era un altro Djokovic. Aveva capito l'importanza del momento, allora ha giocato uno scambio impressionante per attenzione e qualità. Un rovescio a destra, uno a sinistra, e così via. Fino all’inevitabile errore di Federer. Teniamo a mente questi momenti, aspettando che faccia altrettanto negli Slam. Nel punto successivo, un Federer ancora col fiatone metteva in corridoio un dritto: 2-1 e servizio Djokovic. A quel punto, il serbo provava a fare come Sampras: massima attenzione nei turni di battuta e risparmio fisico e cognitivo in quelli di risposta. Gli è andata bene fino al 5-4, quando è arrivato il ruggito del Vecchio Leone. Federer tirava fuori un paio di magie, acciuffava le prime palle break dopo un paio d’ore e sfruttava la seconda: 5-5. Inevitabile conclusione al tie-break, a dire il vero un po’ sotto tono. Lo vinceva Djokovic grazie a tre mini-break, frutto di altrettanti errori di Federer (un rovescio lungo per l’1-0, un dritto in corsa in rete per il 4-1 e un altro dritto in rete per il 6-2). Lui commetteva solo un errore e vinceva una finale molto equilibrata, come certificato dai numeri: 99 punti a 98 per Nole, ed entrambi hanno tirato lo stesso numero di colpi vincenti ed errori gratuiti (34 Roger, 28 Novak). La differenza? Oltre agli errori nel tie-break, Federer poteva poteva ottenere qualcosa di più con la seconda palla. Alla fine chiuderà con il 57%, leggermente inferiore rispetto alle percentuali a cui ci aveva abituato. Ma è un ottimo Federer, un altro giocatore rispetto a quello timido e spaurito del 2013. Avrà molte altre occasioni, magari contro lo stesso Djokovic.
Il serbo sta maturando. E’ sempre stato un ottimo perdente, nel senso che pochi sanno accettare le sconfitte come lui. Mai una lacrima, mai una scusa o uno parola fuori posto. Soltanto sorrisi e complimenti agli avversari. Adesso è diventato un ottimo vincente. Dopo il matchpoint non ha praticamente esultato. Durante il discorso non si è vantato, ha fatto i complimenti d’ufficio a Federer e ha mostrato grande serenità. Questo atteggiamento, unito a quello durante la partita, sembra il vero step effettuato da Djokovic. Probabilmente a Miami sarà ancora il favorito. Intanto ha scritto un altro pezzettino di storia, vincendo il 17esimo Masters 1000 in carriera, raggiungendo Andre Agassi nella classifica all-time. Gli stanno davanti soltanto Rafael Nadal (26) e Roger Federer (21). L’aggancio allo spagnolo sembra difficile, anche perchè Rafa ha nella terra battuta una vera e propria riserva di caccia. Ma quello a Federer non è impossibile, anche in virtù dei sei anni di differenza. Vincere senza giocare al 110%: Nel 2014, Djokovic voleva questo. Le prime risposte incoraggianti sono finalmente arrivate.
MASTERS 1000 INDIAN WELLS – FINALE
Novak Djokovic (SRB) b. Roger Federer (SUI) 3-6 6-3 7-6(3)
MASTERS 1000 – I PLURIVINCITORI
Rafael Nadal – 26
Roger Federer – 21
Novak Djokovic – 17
Andre Agassi – 17
Pete Sampras – 11
Thomas Muster – 8
Andy Murray – 8
Michael Chang – 7
Andy Roddick – 5
Boris Becker – 5
Jim Courier – 5
Gustavo Kuerten – 5
Marat Safin – 5
Marcelo Rios – 5
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