Tre ore e mezzo tra belve scatenate hanno sintetizzato la rivalità tra Djokovic e Murray. Lo scozzese va KO, ma dall’Asia arriva un’altra bella notizia per il tennis britannico…DI FEDERICO FERRERO
Il saluto tra Novak Djokovic ed Andy Murray
Di Federico Ferrero – 15 ottobre 2012
(Articolo apparso su L’Unità)
Come belve costrette in una gabbia troppo stretta al centro del Qi Zhong Tennis Center, Djokovic e Murray hanno inscenato nella finale di Shanghai una lotta assassina, intrisa di sudore e sangue. Spettacolo crudo, senz’altro appagante per i quindicimila fan dal vivo e i milioni sparsi nel globo, almeno quelli che amano assistere allo sbranarsi fino allo sfinimento di due esemplari simili. Le quasi cinque ore della finale degli Us Open si sono condensate in quasi tre e mezza di sgommate, tocchi e catenate nella terra di Cina, territorio eletto di Murray, con lo scozzese per cinque volte a un punto dal titolo – già suo negli ultimi due anni. È un tennis selvaggio ma non barbaro: la mostruosità dello sforzo fisico di Andy versus Novak, due reagenti che al contatto esplodono, è sorretta da una classe cristallina. Tanto vicini dal non sapersi dominare, i due menano a esaurimento: quasi la partita non dovesse finire mai, come fu in Australia nel primo Slam della stagione, come a Flushing Meadows nell’ultimo. Ieri la lancetta ha indicato a lungo Murray: un set, un break di vantaggio, il servizio per chiudere, una palla per il torneo nella circostanza e altre quattro in un tie-break di intensità feroce (13-11). Il Murray che sta studiando da numero uno avrebbe dovuto farla finita; è che di là si è incarnato in Nole lo spirito dell’invincibilità smarrito dal cyber-serbo dopo un anno di corse sulle nuvole.
È una grande ma piccola vendetta, manco a dirlo insufficiente a ripagare rovesci e mancanze della stagione; utile, questo sì, a rimpinguare il conto di Masters 1000: sono tredici per Nole, sempre più vicino al Federer mezzo artista e mezzo turista in Cina, eppure ancora in cima al ranking. Murray, scrollata di dosso la delusione per la peggiore delle sconfitte possibili, punterà l’obiettivo prioritario prima dello stop invernale: il ‘suo’ Masters di Londra. Ci transitò, infortunato, lo scorso anno, una partita persa e via. Era stato vittima in semifinale di Nadal nel 2010, in un altro corrida-match. Tornerà, ma da laureato Slam e con l’oro olimpico, insomma sarà tutta un’altra storia. Mentre a riaccendere il sorriso dei britannici è giunta, sempre dall’Est, la notizia di una carestia interrotta: a 24 anni dall’ultimo titolo Wta, firmato Sara Gomer, una compatriota è tornata a vincere. Si chiama Heather Watson, è un mastino di Guernsey che di match point ne ha dovuti lavare via quattro per trionfare a Osaka. Ma non è lei la nuova stella made in UK: segnatevi un altro nome, quello di Laura Robson. Ha la benedizione della Regina e quella di Murray: fidatevi di loro.
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