Il capitano transalpino resta fedele alle sue scelte e viene ripagato da una grande prestazione di Luas Pouille: nel delicato singolare decisivo, schianta Darcis e regala alla Francia la Davis numero 10, la prima dopo 16 anni di attesa. È stato il successo di un collettivo capace di gestire le pressioni di un ambiente difficile e ambizioso.

Il quinto match di un incontro di Coppa Davis è un'avventura interiore, circondata da magia e mistero. Paure e lacrime. Alla fine non c'è spazio per sentimenti neutri: trionfo o fallimento, goduria o disperazione. Nel ghiacciaio del Pierre Mauroy di Lille, tali sensazioni sono state amplificate dal fatto che fosse una finale. Un'occasione storica, sia per la Francia che per il Belgio. A gestirle meglio è stato Lucas Pouille. Senza neanche soffrire, allontanando il pericolo di un'epica agonistica, ha regalato alla Francia la sua decima Insalatiera. Una “stella” virtuale, resa ancora più dolce da un'attesa durata 16 anni, condita da tre finali perdute, delusioni e fallimenti di vario genere. La Francia gode, infinitamente, mischiando le lacrime di gioia ai fiumi di champagne e ai gavettoni improvvisati. Grazie a un monumentale David Goffin, il Belgio era arrivato a un passo dal sogno, più vicino che mai. Ma stavolta lo “Squalo” Darcis è parso un pesciolino spaurito, indifeso. Per catturarlo sarebbe bastato un pescatore di provincia, ma Pouille ha fatto le cose in grande. Ha messo in campo l'artiglieria pesante, che in poco più di un'ora e mezza ha fruttato un terrificante 6-3 6-1 6-0, senza lasciare spazio alla suspense libidinosa del 1996 (vittoria di Boetsch su Kulti) e a quelle drammatiche del 2002 (il suicidio di Mathieu contro Youzhny) e del 2010 (delirio serbo a Belgrado). I primi ricordi tennistici di Pouille, nato nel 1994, risalgono alla finale del 2002. Nel 2010 era davanti alla TV, mentre tre anni fa era in tribuna a tifare Gasquet contro Roger Federer in una missione impossibile. Che impossibile rimase.

PUNTO FERMO POUILLE
Stavolta era in campo, forte dell'infinita fiducia di Yannick Noah, che lo ha rispedito in campo dopo il pesante 0-3 incassato da Goffin nella prima giornata. In tanti auspicavano l'inserimento di Gasquet sul 2-2: vuoi per l'esperienza, vuoi per l'inerzia psicologica del doppio, vuoi perché un successo di Richard sarebbe stata una storia dai contorni più fiabeschi. Ma il rapporto tra Noah e Pouille è speciale. Ancora prima di riprendere il ruolo di capitano, Yannick aveva riassaporato un po' di tennis professionistico nelle vesti di mentore di Pouille, affiancando coach Emmanuel Planque. Non è un caso, dunque, che Pouille sia un punto fermo del suo terzo capitanato. Gli altri hanno girato, inesorabilmente. Si è tolto lo sfizio di separare il doppio Herbert-Mahut, ha dovuto fronteggiare le bizze di Tsonga, ma Pouille c'è sempre stato. Era il suo punto fermo. Chiunque conosca Noah, dunque, non si sarà stupito della sua scelta. Semmai c'è da stupirsi dell'autorità con cui Pouille ha gestito la partita. Ha messo le cose in chiaro già al secondo game, scippando il servizio a Darcis rimontando da 40-15. Da quel momento, il match è stata una dolorosa salita per il belga, incapace di trovare armi tattiche contro un Pouille dalle idee chiarissime. Spingeva a tutta forza, senza incertezze, facendo valere una notevole differenza in termini di cilindrata. Assodato che il rovescino in slice faceva il solletico al suo avversario, Darcis aveva modesti piani B: scendere a rete il più spesso possibile e – ancora meglio – sperare in un calo di Pouille. Nel primo set è rimasto in scia, pur non avendo reali chance (al massimo si è trovato 15-30 sul 3-1, ma non ha avuto neanche una palla break).

UN TRIONFO DI SQUADRA
Il game chiave è stato il terzo del secondo set. Con grande fatica, Darcis aveva tenuto il primo turno di servizio, ma sull'1-1 c'è stato un game combattutissimo, in cui Pouille ha voluto a tutti i costi il break. Aveva capito che la bolla belga stava per scoppiare, che il recinto era ormai crollato. Vincere quel game, aiutato dall'incisività con il dritto incrociato, ha azzerato le resistenze di Darcis. I numeri sono impietosi: dall'1-0 nel secondo set, c'è stato un parziale di 12 game a 0 per il francese, fino al delirio finale. Tipica esultanza, tra abbracci, salti, sorrisi, lacrime di gioia e benedizioni dirigenziali, da Bernard Giudicelli (attuale presidente FFT) a Jean Gachassin (ex presidente, l'uomo che aveva scelto Noah), e persino giornalistiche: brillavano gli occhi anche Nelson Monfort, storico "bordocampista" di France TV. La Francia è il quarto paese a raggiungere la doppia cifra di successi in Davis, agganciando la Gran Bretagna ma restando a distanza di sicurezza da Stati Uniti (32) e Australia (28). Dopo i sei successi dei Moschettieri (dal 1927 al 1932), tre degli ultimi quattro hanno visto lo zampino di Yannick Noah in panchina. Forse è un caso, forse no. Di sicuro è stato un successo di squadra: se è vero che Pouille è stato il suo punto fermo, in tanti hanno contribuito a questo successo: Tsonga, Herbert, Gasquet, Mahut, Chardy e Simon. Una risposta a chi pensa che la Davis si possa vincere con un giocatore e mezzo. È possibile, ci mancherebbe, ma la forza di una squadra è ancora (molto) preziosa. E questo, Yannick Noah, lo sa.

FINALE COPPA DAVIS 2017
FRANCIA VS. BELGIO 3-2
Stade Pierre Mauroy, Lilla – Cemento indoor
David Goffin (BEL) b. Lucas Pouille (FRA) 7-5 6-3 6-1
Jo-Wilfried Tsonga (FRA) b. Steve Darcis (BEL) 6-3 6-2 6-1
Gasquet/Herbert (FRA) b. Bemelmans/De Loore (BEL) 6-1 3-6 7-6 6-4
David Goffin (BEL) b. Jo-Wilfried Tsonga (FRA) 7-6 6-3 6-2
Lucas Pouille (FRA) b. Steve Darcis (BEL) 6-3 6-1 6-0