L’ex campione francese non si pente delle dichiarazioni dell’anno scorso, quando parlò delle “pozioni magiche” degli spagnoli. “Altro che 6 test all’anno: ce ne vogliono 60!”
Yannick Noah e Mary Pierce sono stati premiati
con la “Racchetta d’Oro” agli ultimi Internazionali d’Italia
Di Riccardo Bisti – 18 ottobre 2012
Nemmeno la paura di morire ha spento la vena polemica di Yannick Noah. Qualche giorno fa era tra i passeggeri del volo Parigi-Rio de Janeiro, dove lui e Guy Forget avrebbero giocato un'esibizione con Nicolas Lapentti e Andres Gomez. Poco dopo aver lasciato l’aeroporto Charles De Gaulle, il velivolo è tornato indietro. “Era esploso un reattore in fase di decollo – ha raccontato Noah – in queste situazioni pensi sempre al peggio. Ho mandato un sms ai miei figli, ma mi sono reso conto del rischio soltanto quando siamo atterrati e c’erano le ambulanze ad aspettarci”. Noah e Forget sono partiti (e regolarmente atterrati) il giorno dopo. Ma Yannick fa parlare di sé anche per altro. A quasi un anno dai pesanti commenti sul doping, è tornato sull’argomento. Secondo Noah, il problema è ancora più diffuso di quanto si potesse temere. L’ex campione francese non rinnega le frasi dello scorso novembre, quando disse che il crescente dominio degli atleti spagnoli è dovuto a non precisate “pozioni magiche”. “Non ho niente contro la Spagna, è un paese con grandi campioni – ha detto – ma so che il doping e le scommesse sono un male per lo sport professionistico. Mi piacerebbe sedermi a un tavolo e discutere seriamente per sviluppare idee che contribuiscano ad affrontare questi problemi”.
Noah non ha mai avuto peli sulla lingua. “Mi rendo conto che molti atleti cerchino di essere più forti, ma certi errori li paghi a caro prezzo. Guardate cosa è successo a Lance Armstrong…ci sono voluti 10 anni per trovare le prove di qualcosa che si sapeva da tempo. Tutto questo è molto triste”. Lo scorso anno, le dichiarazioni di Noah (il cui figlio Yoakhim è un ottimo giocatore NBA) avevano scatenato la reazione di sportivi e autorità spagnole. Alejandro Blanco, presidente del Comitato Olimpico spagnolo, disse che il boom è dovuto esclusivamente al duro lavoro. Tra i più arrabbiati c’era Rafael Nadal. Durante il Masters di Londra, era particolarmente risentito perché era stata messa in dubbio l’integrità del suo paese. “E’ una cosa totalmente stupida. Dovreste sapere quanti controlli antidoping dobbiamo sostenere nel corso dell’anno”. Ma le voci sullo sport spagnolo sono riprese qualche tempo fa, quando l’ITF ha inibito il medico spagnolo Luis Garcia del Moral, uomo-chiave nello scandalo doping di Lance Armstrong. Del Moral, tuttavia, aveva a che fare con alcuni tennisti, in particolare i frequentatori dell’Accademia TenisVal di Valencia, dove si allena la nostra Sara Errani. Detto (e ribadito) che Sarita non ha mai avuto contatti con questo medico, ad eccezione di un controllo cardiologico di routine, in molti hanno ripreso a sussurrare.
All’Accademia TenisVal transitano diversi professionisti, tra cui David Ferrer, Igor Andreev e (in passato) Dinara Safina (la russa è stata citata nell’intervista di Tennis Space a Stuart Miller, responsabile ITF per l'antidoping, il quale ha affermato che dopo 12 mesi di inattività un giocatore non è più soggetto ai controlli). Secondo Noah, chiunque venga scoperto dovrebbe restituire tutto quello che ha guadagnato. Il francese ha ribadito che sei controlli antidoping all’anno sono pochi. “Vogliamo avere uno sport più pulito o no? Se l’idea è quella, dovremmo essere in grado di fare 60 test all’anno. Se io sono pulito, non ho alcun problema a rilasciare più frequentemente i miei campioni di urina. Sei test sono meglio di zero, ma per avere uno sport pulito dobbiamo farne sei in due giorni. E se 20 anni dopo vieni scoperto…devi restituire tutto. Non credo che avere uno sport pulito sia così difficile, ma da quello che vedo tutti fanno finta che le cose vadano bene. Non è così. Non dobbiamo perdere tempo”. Le affermazioni di Noah – giuste nella sostanza, anche se un filo populiste – si scontrano con la dura realtà. Come ha spiegato Stuart Miller nella famosa intervista con Tennis Space, raccogliere i campioni non è così semplice ed è molto costoso (si arriva anche a 1.000 dollari per un singolo test). La lotta al doping è giusta e sacrosanta, ma l’impressione è che la frase di Rino Tommasi (“il doping batte l’antidoping 6-1 6-1”) sia tristemente vera. Visto che alla prevenzione non crede nessuno, l’unica soluzione sarebbero investimenti ancora più pesanti. Soldi, uomini e risorse: solo così la rincorsa all’antidoping potrebbe avere qualche possibilità di successo. Chissà se un giorno sarà possibile.
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