Capita spesso che il Masters 100 di Parigi Bercy regali gloria a giocatori emergenti. Gli ultimi casi erano stati quelli di Jerzy Janowicz e Filip Krajinovic, rispettivamente finalisti nel 2012 e nel 2017. Per varie ragioni, non si sono saputi confermare. Non dovrebbe essere il caso di Karen Khachanov, straordinario finalista di questa edizione. Il russo aveva già dato segnali importanti nel 2018, vincendo due tornei ATP (Marsiglia e Mosca) e cogliendo la prima semifinale in un Masters 1000, a Toronto. Ma fino a pochi giorni fa aveva battuto soltanto tre top-10: alla AccorHotels Arena ne ha superati altri tre, uno in fila all'altro: John Isner, Alexander Zverev e Dominic Thiem in una semifinale quasi a senso unico. Dotato di enormi doti atletiche, il russo non sarà un mostro di eleganza (soprattutto con il dritto), ma il suo tennis è efficace, perfetto per le esigenze del tennis attuale. E c'è da credere che possa diventare un big: la base è solida, gli exploit non sembrano estemporanei. Fisicamente ricorda un po' il suo primo idolo Marat Safin, ma le somiglianze finiscono lì, sia nello stile di gioco che nelle scelte di vita: se Safin è passato alla storia per la sua attitudine alla bella vita, Khachanov ha fatto una scelta sorprendente: si è sposato giovanissimo, ad appena 20 anni di età, con Veronika Shkliaeva. E la stabilità fuori dal campo, si sa, è un elemento importante quasi quanto un buon dritto o un buon servizio. Con la finale a Bercy, Khachanov alimenta la “maledizione” del 13 di Fabio Fognini. L'azzurro era pressoché certo di migliorare il suo best ranking (colto nel 2014 e ritrovato quest'anno), facendo un passo in più ed eguagliando la miglior classifica di Paolo Bertolucci, terzo italiano meglio piazzato nell'Era Open.
NIENTE BEST RANKING PER FOGNINI
Soltanto una combinazione glielo avrebbe impedito: Karen Khachanov in finale a Parigi Bercy. Detto, fatto. C'è un pizzico di delusione, ma nel complesso il russo merita di stargli davanti: Fognini ha raccolto moltissimi punti negli ATP 250, mentre il bottino di “Djan” è maturato nei grandi tornei, senza dimenticare gli ottavi di finale raggiunti sia al Roland Garros che a Wimbledon. Avrebbe potuto fare strada anche allo Us Open, se solo non fosse incappato in Rafael Nadal al terzo turno. In una Parigi Bercy in fibrillazione per l'imminente Federer-Djokovic, ha avuto bisogno di appena 71 minuti per mettere Thiem in un angolo. I due adottano una strategia simile, ma sin dai primi scambi c'è stata la sensazione che fosse Khachanov ad avere in mano il gioco. I suoi colpi, già pesanti, hanno trovato notevole profondità e costretto Thiem sulla difensiva. Sulla terra avrebbe potuto gestire meglio la situazione, ma su un campo rapido è tutto diverso. S è trovato a giocare colpi a bassa percentuale, da posizioni impossibili. E quando riusciva a difendersi bene, il russo mostrava anche una buona padronanza della rete. C'è stato equilibrio fino al 4-4, poi è arrivato il break che ha spaccato la partita. Thiem ha avuto un paio di palle break per rifugiarsi sul 5-5, ma una volta perso quel game è uscito dal match. Il secondo set è stata una formalità, tanto che Khachanov non ha esultato più di tanto. Se continua così, avrà tante occasioni per sollevare le braccia al cielo. Specie se continua a rispondere così bene: sia contro Zverev che contro Thiem ha raccolto più del 50% dei punti sul servizio altrui. In un tennis fortemente condizionato dai colpi di inizio gioco, può essere davvero un'arma in più.
PARIS ROLEX MASTERS – Semifinale
Karen Khachanov (RUS) b. Dominic Thiem (AUT) 6-4 6-1