Il Süddeutsche Zeitung ha concesso una rubrica ad Andrea Petkovic. Scesa al numero 102 WTA, racconta come fronteggia la solitudine di 30-40 settimane all'anno lontano da casa. Essendo single da quasi sette anni, ha trovato rifugio nel cinema: “Funziona perché i film non hanno niente a che vedere con la mia vita”.

Tanti anni fa, quando aveva ancora l'entusiasmo di una ragazzina, Andrea Petkovic diceva che un giorno le sarebbe piaciuto creare un partito. Voleva cambiare il mondo, non solo con la racchetta in mano. Poi è successo che si è rotta il ginocchio nel momento di massimo splendore tennistico. Durante il periodo di stop, ha effettuato un stage presso la Cancelleria di Stato dell'Assia, quando a capo c'era Roland Koch. Troppa scrivania, appuntamenti rigidi… tanto è bastato per farle scomparire certi desideri. È cambiata, la vita di Andrea. Qualche anno fa aveva fatto irruzione tra le top-10, aveva anche giocato una semifinale Slam (Roland Garros 2014), ma non si è mai “inserita” appieno nel sistema tennis. Oggi, a 31 anni e con l'obiettivo di arrivare alle Olimpiadi di Tokyo, può raccontarsi con più facilità. Quel che è stato è stato. Il Süddeutsche Zeitung le ha concesso una rubrica e a lei non è parso vero. Non ci sono ghost-writers dietro, c'è soltanto il desiderio di raccontarsi di una ex ragazza che oggi è diventata donna. Nella scheda personale, l'hanno definita così: “Da tennista professionista trascorre più notti in anonime stanze d'albergo che nel suo letto a Darmstadt. Durante i suoi viaggi, la trentenne Andrea Petkovic non conosce soltanto persone nuove e le loro usanze, ma soprattutto se stessa: quando ne ha abbastanza, si rifugia nel mondo dei film. E parlerà di tutto questo nelle prossime settimane”. Scesa al numero 102 WTA, sembra che il legame con il grande tennis si sia lacerato definitivamente. Fatica a vincere partite, oggi la si vede più spesso nelle qualificazioni che nei tabelloni principali. “Sono professionista del 2007 e ho vinto 6 titoli. La Kerber è in giro dal 2003 e ne ha vinti 11. Non ci vuole un grande matematico per capire che il 90% delle volte la settimana di una tennista finisce con una sconfitta. È diverso solo per Roger Federer, ma lui viene da un altro pianeta”.

DROGHE, ALCOL, SESSO
Per la Petkovic, figlia di immigrati jugoslavi che lasciarono la Serbia qualche anno prima che scoppiasse la Guerra dei Balcani, la routine è sempre più pesante. “Chiunque ha una vita normale e un lavoro, alla sera torna a casa e trova famiglia, partner, magari va al pub con gli amici. Al contrario, se gioco male devo spiegarne le ragioni a stranieri armati di taccuini e macchine fotografiche. E alla sera trovo la camera d'albergo vuota”. Sembra un dipinto perfetto di chi sta per cadere in depressione. In effetti, un paio d'anni fa Andrea si era posta mille interrogativi. Qualcosa di simile alla depressione, sì. Poi però ha trovato la forza per andare avanti, sia pure senza riavvicinarsi ai risultati di qualche anno fa, quando faceva divertire la comunità del tennis con il suo balletto dopo ogni vittoria, la mitica Petko-Dance. “Dopo 10 anni ho imparato a organizzarmi, potrei dire che amo quello che faccio – spiega Andrea, come a cancellare pensieri di autolesionismo – non sono in imbarazzo davanti alla stampa e non mi voglio lamentare. Vorrei soltanto spiegare perché ho scelto questo tipo di evasione stando fuori casa per 40 settimane all'anno fuori di casa”. Lo sfogo di Andrea Petkovic è il cinema, i film. “Droghe non se parla, l'alcol non va bene perché rallenta il recupero del corpo” dice la Petkovic, che sostiene di aver ridotto al minimo la sua attività sessuale. “Il sesso ci starebbe, ma sono incapace o riluttante. Non trovo facile farlo”. L'allusione è ai rapporti occasionali, lei che è single da quasi sette anni. In una vecchia intervista, spiegava quanto sia difficile trovare un fidanzato per una tennista. “I giocatori hanno mogli e fidanzate che li seguono dappertutto, mentre per una donna è dura. Difficilmente un uomo viaggia 30-40 settimane all'anno. Molte giocatrici stanno con colleghi, allenatori e preparatori atletici. Ma per me non è un'opzione, non sono interessata a chi vive in questo mondo. Lo facessi, rimarrei in questa bolla”.

CINEMA COME RIFUGIO
​Quella del tennis è una bolla comoda, dorata, ma la Petkovic non la trova attraente come qualche tempo fa. "Allora mi sono rifugiata in letteratura, musica e film. La letteratura va bene, ma dopo una partita di due ore non ho più la forza e la motivazione per leggere con la dovuta attenzione. La musica non va bene perché lascia troppo spazio all'insicurezza e all'odio per me stessa. Auto-odio? Dopo una sconfitta mi sento come uno studente che si è preparato al meglio per fare il compito, ma poi in aula si trova accecato dal sole, non vede nulla, il vento spazza via i fogli e un compagno di classe ti colpisce quando scrivi una risposta. Forse esagero, ma sono triste, arrabbiata e delusa. E sono l'unica persona che potrei incolpare". E allora ha trovato rifugio nei film. “Funzionano perché non hanno nulla a che fare con la mia vita, mi distraggono. Mi sono gettata diverse volte tra le braccia di Noah, come successo ad Allie in “The Notebook”. Ho sognato guardando Titanic e ho provato a vestirmi come Penelope Cruz in ciascuno dei miei film. Davanti allo specchio mi metto il cappello come Maria Elena in “Vicky Cristina Barcelona" ed è tutto dimenticato. I film sono la mia vita, quindi in questa rubrica farò sempre riferimento al cinema”. Se Andrea avrà voglia di aggiornarla, sarà tutta da leggere. Soprattutto se scriverà ciò che le passa davvero per la testa, a partire dai rapporti con le colleghe. Come quando una volta consigliò ad Ana Ivanovic di leggere “Infinite Jest” di David Foster Wallace, salvo sentirsi dare della pazza dopo una lettura di 20 pagine. O quando andò al cinema con Feliciano Lopez, disperato all'idea di guardare un film impegnativo come "Bigger Splash". Forse non tornerà più quella di un tempo, ma il tennis dovrebbe ringraziare di aver trovato un personaggio come Andrea Petkovic. “Dopo il ritiro mi vedo in giro per il mondo, non voglio stare sempre nello stesso posto. Due anni a Parigi, due a New York, due a Montreal. E poi Tokyo! Magari metto in piedi una società di produzione cinematografica”. La Petko-Dance era soltanto una piccola parte del suo personaggio. Forse adesso riuscirà a farlo capire.