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Nel complesso, qualche pecca organizzativa c’è stata, in primis la cerimonia sorteggio, col partner Red Bull responsabile e ATP e FIT/Coni colpevoli di essersi fidati un po’ troppo. Doveva essere una serata glamour, tipica della movida milanese, invece è stato un teatrino trash e di cattivo gusto, ma di sessista – come l’hanno definito i soliti britannici bacchettoni e moralisti, e gli altri a ruota – non aveva proprio un bel niente. C’è stato anche il problema delle tribune, ancora da completare martedì quando gli incontri sarebbero già dovuti iniziare, o i prezzi dei biglietti un po’ troppo cari, o l’annullamento della finale per il terzo posto. Già inutile di per sé, per il forfait di Coric è diventata prima un’esibizione Shapovalov-Medvedev, poi è stata cancellata, quindi è diventata un doppio con Medvedev e Hutchins, ex (discreto) doppista che si è ritirato nel 2014, affiancati da due raccattapalle. Una situazione imprevedibile, ma gestita dall'ATP in maniera un po' troppo approssimativa. Nel corso della settimana non è stata la prima volta. Per fortuna, sono piccolezze in confronto a ciò che invece ha funzionato e bene. Dopo aver reso il Foro Italico un piccolo gioiello, FIT e CONI Servizi hanno realizzato un impianto perfetto per il torneo, che è piaciuto eccome agli spettatori. Tanto che, come già detto nel corso della settimana, viene da augurarsi che il torneo possa rimanere al Polo Fieristico di Rho. Non sarà Milano, ma il Padiglione 1 può garantire spazi che il PalaLido – casa pensata per il torneo, ma non ancora ultimata per la prima edizione – si sogna. E data l’intenzione di costruire un torneo a formato di spettatore, passare dall’open space di questa edizione, con una bella area a disposizione del pubblico, a un normalissimo palazzetto sarebbe un grande ridimensionamento, che il torneo non merita. La partita si giocherà sicuramente sui costi, ed entreranno in gioco dinamiche commerciali importanti, ma sembra che il CONI voglia farci un tentativo. E chissà che non ci metta il becco anche l’ATP, che non può non aver apprezzato una venue non così diversa da quella – a loro tanto cara – delle Finals dell’O2 Arena.
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Passando al discorso delle varie sperimentazioni, ha detto bene sempre Rublev, che non sarà il più simpatico del lotto ma è l’unico che ha parlato senza peli sulla lingua, dicendo chiaramente cosa gli andava e cosa no. Il russo ha promosso a pieni voti le novità che non toccano il gioco, mentre ha suggerito di riflettere bene sul resto, perché dà la possibilità anche ai giocatori meno professionali di competere alla pari con i più forti, quando invece lo sport dovrebbe premiare chi lavora più duramente, senza lasciare nulla al caso. Parole sante. Quindi ben vengano il riscaldamento breve, lo shot clock, il pubblico libero di muoversi sui lati lunghi degli spalti, l'iPad a disposizione dei giocatori per consultare le statistiche in tempo reale, il coaching a fine set (anche se sarebbe meglio farlo in stile WTA, con l’allenatore chiamato in campo), e l’Hawk-Eye Live, che in termini tecnologici era la novità più importante e ha funzionato alla grande. Probabilmente non farà fatica ad entrare nel Tour a tempo pieno, anche se c’è il rischio che vada a crearsi una differenza ancor maggiore fra i campi principali, provvisti di tecnologia, e quelli secondari alla vecchia maniera, coi giudici di linea e senza nemmeno il Challenge. Sarebbe un ulteriore aiuto in più – da evitare – per i big.
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Set al 4, punto secco sul 40-40 e abolizione del let, invece, dividono giocatori, appassionati e addetti ai lavori. E continueranno a farlo. Per un evento a sé possono anche funzionare, ma vien difficile immaginarne una futura applicazione nel Tour. Se ne discuterà ancora, e per fortuna il presidente Chris Kermode ha detto che l’ATP non ha fretta, spiegando che difficilmente i regolamenti cambieranno nei prossimi cinque anni. “Nessuno ha l’obiettivo di modificare il gioco in sé – ha aggiunto – però vogliamo ridurre al massimo i tempi morti”. Il problema è che le due cose vanno più o meno di pari passo. Un match di cinque set che dura intorno alle due ore fa stappare lo champagne alle tv, che si trovano in omaggio anche molta più suspance e meno possibilità che lo spettatore si annoi e cambi canale. Ma la formula restituisce un tennis troppo rocambolesco, troppo legato al momento e anche alla fortuna. C’è più entertainment? Di sicuro, perché può sempre succedere di tutto e ogni singolo punto ha un’importanza ancora maggiore. Ma è la soluzione migliore? Sembrerebbe di no. Il tennis non lo giocano le tv e nemmeno il pubblico. Sono i personaggi in campo a mandare avanti il carrozzone. Assottigliare gli equilibri, e allargare il parco di potenziali vincitori dei tornei che contano davvero (vedere per credere il 2017 del Tour WTA, con cinque numero uno del mondo e quattro vincitrici Slam diverse), rischia di far perdere credibilità al prodotto. L’obiettivo opposto rispetto a quello che deve perseguire un’associazione come l’ATP.
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