Motivi sufficienti per andar cauti, quando mi chiedono un parere su una giovane promessa (ho visto tirare un diritto e una volée a Troicki e pensavo sarebbe diventato, al meglio, un buon maestro PTR). Eppure, in un Bonfiglio di recente memoria, son rimasto allibito dalla facilità esecutiva di un ragazzino russo, a nome Andrey Rublev. Ho cominciato a seguirlo come il più ossessionato degli stalker: un abbozzato streaming Internet mi ha permesso di vederlo prendere a pallate un top 100 in un challenger americano; al Godò di Barcellona, mi sono infilato sulla tribuna del campo centrale per ammirarlo con un tipo tosto come Fernando Verdasco, che poi di solo ego non ama essere preso per i fondelli da un ragazzino che potrebbe giocare ancora tra gli junior.
Ebbene, per tre quarti d’ora, Verdasco ha fatto da sparring, un tergicristallo impazzito che cercava di difendersi come meglio poteva, L’altro, vinto il set, si è messo in mezzo al campo e ha aperto le braccia, testa in alto, come Cristiano Ronaldo dopo un gran gol al Bernabeu. E giù una bordata di fischi, con Verdasco che l’avrebbe preso a schiaffi per una settimana. Noncurante, Rublev ha portato a casa la partita, ha (finto?) di non conoscere l’inglese per difendersi in press conference dove non era previsto un traduttore russo, e ha preso a pallate il nostro Fognini per un set e mezzo, prima di cedere alla distanza.
Un match che si riproporrà, in condizioni molto diverse, domani, nello spareggio per restare in Serie A di Davis. Rublev nel frattempo è cresciuto, Fognini ha mostrato una condizione a NYC di primo livello e, considerato il tasso tecnico dei duellanti, dovremmo aspettarci un gran match, se la tensione della maglia nazionale non giocherà brutti scherzi.
Rublev fa parte della nouvelle vague che dovrebbe presto arrivare nel Gotha del tennis mondiale; già (in parte, traditi da Grigor Dimitrov, per il quale continuiamo le nostre preghiere quotidiane), ci si affida al rovescio di Zverev e alla fantasia acerba di Kozlov, per cercare accenni di bel gioco e non affidarsi solo all’apprezzabile quanto noioso attaccamento al punto di un Borna Coric o agli sparapalle americani, uno uguale all’altro.
Per tornare a Rublev l’ho rivisto allo US Open. I miei capi di Eurosport dovrebbero tagliarmi parte dello stipendio, se è vero che mi sono distratto dalla partita che avrei dovuto commentare, per ammirare sul nostro Player, Rublev tener testa ad un tipo tosto come Kevin Anderson, il peggiore degli avversari per un giovane da svezzare. Anderson tira forte tutto, con buone percentuali, si muove bene per essere un forward di basket e solo quando è chiamato a toccare di fino vicino alla rete, denota limiti importanti. Per buon parte del match, Rublev è stato una spanna sotto; quando toccava la palla di dritto, spariva letteralmente. Meccanicamente, ricorda abbastanza Yevgeny Kafelnikov, e tanto basterebbe a farci innamorare. In realtà, è affascinante il demonio che prende possesso del suo corpo quando qualcosa non fila per il verso giusto, in qualsiasi situazione di punteggio. Doppio fallo sul 40-0? E giù a dimenarsi nel più profondo sconforto, come avesse mancato un match point; poi rischia di spezzarsi una caviglia colpendola ripetutamente con il telaio, rea (a suo dire) di non scivolare abbastanza sul ruvido decoturf di Flushing. E ancora, arriva un cattivo rimbalzo? E giù a chiedere che venga ridipinto nell’intero campo, perché il timing è tutto, nel suo tennis.
Insomma, un talento pazzesco infilato in una psiche che un laureando in neurologia apprezzerebbe molto come materia di studio. Resta da capire se è già pronto per reggere la pressione di un match decisivo in Coppa Davis. La risposta naturale sarebbe affermativa, se è vero che ha dominato un tipo solido come Pablo Andujar nello scorso match contro la Spagna e che le condizioni di gioco favoriscono sicuramente i russi, più abituati a climi ostili dei nostri azzurri.
Certo, resta curioso anche il confronto psicologico con Fognini, se la partita fosse lottata e l’atteggiamento bullesco di Rublev avesse il sopravvento. Quel che è certo, è che la crescita sua di Alexander Zverev, di Borna Coric, dei tanti americani e di qualche coreano, di Nick Kyrgios e Thanasi Kokkinakis, ci ha dato l’idea (che comparirà nell’ultimo numero stagionale del nostro magazine) di provare a indovinare quale sarà la top10 mondiale nel… 2020. Personalmente non ho dubbi su chi mettere in cima, nella speranza che non dia i primi assaggi in terra di Siberia, il prossimo week-end.
LA SCHEDA
Andrey Rublev è nato il 20 ottobre del 1997, a Mosca, da Andrey Sr., ex pugile che ora lavora come ristoratore, e Marina Marenko, tennis coach con un passato al seguito di Anna Kournikova. Ha una sorella di nome Arina, anche lei insegnante di tennis. Già numero uno del mondo da under 18, con vittoria al Roland Garros juniores e finale al Trofeo Bonfiglio, è oggi numero 176 fra i 'pro', suo best ranking, raggiunto grazie alla qualificazione al main draw dello Us Open. Allenato dal bielorusso Sergey Tarasevich, quest’anno “Rubl” (come è soprannominato) ha raggiunto il secondo turno a cinque tornei del circuito maggiore, compreso l’ATP 500 di Barcellona (dove ha sconfitto Fernando Verdasco) e il Masters 1000 di Miami. Era dai tempi di Rafael Nadal (2004) che un diciassettenne non vinceva cinque incontri nel Tour nella medesima stagione. A luglio è stato l'eroe nel match di Coppa Davis contro la Spagna, battendo Pablo Andujar nel singolare decisivo. Considera il diritto il suo colpo migliore, e non ha una superficie preferita. È cresciuto ammirando Federer per il gioco di volo, Nadal per il fisico e Raonic per il servizio, e continua a studiare costantemente i loro incontri. Amante di boxe e basket (tifa Miami Heat), è un fan di Mike Tyson, adora i film d’azione e ascolta Metallica, AC/DC e Nautilus Pompilius.