Si dice che Montreal sia una città più tennistica rispetto a Toronto. Forse per questo, la sorte ha regalato alla città francofona una finale fantastica nell'anno in cui deve “scontare” il torneo femminile, meno atteso rispetto al maschile. Per intenderci, quando a Toronto giocano le pulzelle non vengono nemmeno montate le tribune supplementari sul campo centrale. L'ex Uniprix Stadium, da qualche mese ribattezzato IGA, ha struttura fissa e dunque rimane uguale anche per il Premier Five griffato WTA. I tanti spettatori che lo hanno affollato per la finale tra Simona Halep e Sloane Stephens sono tornati a casa più che soddisfatti, avendo assistito a una delle finali più belle dell'anno. Si è chiusa dopo 2 ore e 41 minuti, quando Nadal e Tsitsipas erano abbondantemente in campo a Toronto, decretando – qualora ce ne fosse bisogno – il fallimento del “Virtual Combined”, trovata che non ha avuto i riscontri sperati, soprattutto per la scarsa interazione tra le due realtà. Come due anni fa, a Montreal vince la Halep. Forse perché la città canadese evoca ricordi straordinari allo sport rumeno: nel 1976, Nadia Comaneci realizzava proprio in Quebec il suo storico esercizio “da 10” alle Olimpiadi. Per intascare il suo diciottesimo titolo, il terzo in stagione, la Halep ha dovuto fare una gara di eptathlon applicata al tennis, poiché la Stephens (già battuta in finale al Roland Garros) le è stata vicina e ha ceduto tra mille rimpianti, soprattutto per lo svolgimento del primo set. Sotto 4-1, l'americana ha effettuato un'impetuosa rimonta a suon di dritti vincenti, procurandosi ben quattro setpoint, due sul 6-5 e altrettanti nel tie-break, in cui si è trovata in vantaggio prima 4-0 e poi 6-4.
QUEI DUE SETPOINT ANNULLATI
Vale la pena raccontarne un paio: sul primo, la Halep ha tirato un fantastico rovescio incrociato sulla linea, giocato un po' a occhi chiusi. Sul terzo (sul 6-4 nel tie-break), ha estratto dal cilindro un irreale dritto incrociato, strettissimo, tirato dal centro del campo, in cui ha pizzicato un millimetro di linea. Sui restanti due, la campionessa dello Us Open ha messo in rete prima un rovescio, poi un dritto. Perdere un set in quel modo poteva essere letale per la Stephens, invece l'americana si è aggrappata alla convinzione che era lei ad avere in mano il gioco, era lei a cercare per prima il punto. E sapeva di poter essere molto incisiva in risposta. In effetti, il servizio non è stato un fattore: si sono visti 15 break su 31 game, ed entrambe hanno raccolto oltre il 75% dei punti sulla seconda palla altrui. Nel secondo set, le statistiche si sono radunate a favore della Stephens: a quel punto, era inevitabile che si entrasse in bagarre. La rumena (incitata da tantissimi connazionali) si è portata sul 2-0, ma l'americana l'ha riacchiappata sul 2-2. Nel quinto game, la Halep ha trovato un fondamentale break in un game in cui si era trovata in svantaggio 40-0. Perdere quel gioco (peraltro con cinque errori gratuiti di fila) ha un po' tagliato le gambe alla Stephens, che si è trovata rapidamente sotto 5-2. Tuttavia, coach Kamau Murray continuava a battersi il pugno sul petto, come a trasmettere alla sua giocatrice l'istinto di giocare con il cuore. Sloane recepiva, annullava un matchpoint sul 5-3 con un punto fantastico, ma al momento di servire per la seconda volta per il match, la Halep non ha tradito. Ironicamente, ha chiuso con un ace centrale prima di lasciarsi cadere per terra e conquistare il sesto successo di fila contro la Stephens.
“DOPO PARIGI MI ERO RILASSATA”
“Sia la finale di Parigi che quella di oggi sono state grandi partite – ha detto la Halep – Sloane mi fa giocare sempre meglio, ogni volta che ci affrontiamo. Ma sento che è migliorata molto sul piano della personalità. E poi è forte, completa. Non le manca niente”. Ancora una volta, la Stephens ha dimostrato di essere un'ottima perdente, accettando la sconfitta con il sorriso. “Anche se ho perso, ho davvero lasciato tutto sul campo. Sono triste per la sconfitta, ma perdere contro la numero 1 non è così male”. Durante il match, la Halep si è fatta trattare per una vescica al piede sinistro. A suo dire, il problema l'ha un po' limitata al servizio. “Ma sul 5-4 mi sono detta che avrei dovuto servire al massimo – dice la rumena – fino ad allora non l'avevo fatto, avevo un po' di dolore, ma nell'ultimo game ho dato tutto. Sono stata fortunata a tirare un ace sul matchpoint”. Simona ha spiegato di aver avuto bisogno di un po' di tempo per smaltire il successo al Roland Garros: in particolare, ha faticato un po' a Wimbledon: non voleva tornare così presto in campo dopo un grande successo. “Tra l'altro ho perso dopo aver avuto un matchpoint, quindi è stata dura. Ma poi ho dimenticato tutto, evitando di toccare la racchetta per tre settimane. Mi sono ricaricata e mi sono presentata a Montreal con il desiderio di competere”. Una volta sollevato il trofeo, avrà un altro compito da svolgere in Quebec: provare il piatto tipico del posto, il poutine, un mix di patatine fritte, formaggio e salsa. Qualche giorno fa aveva ammesso di non sapere cosa fosse, stavolta ha promesso che l'avrebbe mangiato dopo la vittoria. “Anche perché l'ha provato il mio fisioterapista e mi ha detto che è molto buono”. Non dovesse piacerle, il sacrificio sarà decisamente accettabile: lascerà Montreal da numero 1 del mondo sia nel ranking ufficiale che nella Race, in cui porterà a più di 1.000 punti il vantaggio sulla diretta inseguitrice, Angelique Kerber. Piaccia o no, sembra che il tennis femminile abbia trovato una padrona. Magari senza un carisma da prima pagina, ma pur sempre una padrona.
WTA PREMIER FIVE MONTREAL – Finale
Simona Halep (ROM) b. Sloane Stephens (USA) 7-6 3-6 6-4