Fermo da due anni e senza alcun aiuto, Prakash Amritraj tiene alto l’onore della sua famiglia passando le qualificazioni e un turno a Chennai. “Ho 29 anni ma me ne sento 22”
Prakash Amritraj è stato n. 154 ATP. Oggi è in 551esima posizione
 
Di Riccardo Bisti – 2 gennaio 2013

 
Si dice che il ricordo di una persona cara dia forza, coraggio e vigore. Provate a chiederlo a Prakash Amritraj, ultimo reduce di una famiglia che ha dato gloria al tennis indiano. Di più: ne hanno fatto la storia, a partire dalla clamorosa finale di Coppa Davis ottenuta nel 1987. Tra gli artefici c’era papà Vijay, il più forte indiano di sempre. Prakash aveva 4 anni e non ricorda bene. Ma ricorda perfettamente la morte di nonno Robert, avvenuta circa tre settimane fa. Aveva 91 anni e aveva dedicato la sua vita al tennis. Per non deluderlo, Prakash ha scelto di riprovarci dopo un infortunio che ne aveva messo in stand-by la carriera. Sembrava perso dopo che un infortunio al polso lo aveva messo KO nell’estate 2010. Due anni senza tennis, lontano dal mondo che gli aveva dato pane e un po’ di gloria, come quando nel 2008 giunse in finale al torneo ATP di Newport, persa contro Fabrice Santoro. Poi è arrivato l’infortunio. Lo vedi adesso e sembra un cerotto ambulante. Indossa un parastinchi, un nastro adesivo attorno alle ginocchia e qualcosa di simile anche intorno al polso ed al gomito. Sembra un soldato ancora in guerra. Il paragone calza, giacchè è l’ultimo sopravvissuto di una famiglia che ha fatto storia. E’ tornato a giocare ad agosto, ha giocato (bene) qualche torneo minore, ma gli organizzatori dell’Aircel Open hanno deciso di non dargli una wild card. Lo hanno spedito a giocare le qualificazioni e lui, numero 551 ATP, le ha passate. Ma ha fatto di più: battendo Guillaume Rufin con il punteggio di 6-7 6-2 6-3 è tornato a passare un turno in un torneo ATP dopo tre anni e mezzo. L’ultima volta risaliva al luglio 2009, quando battè Danai Udomchoke a Newport.
 
“Il mio corpo sta davvero bene – ha detto l’indiano nato in California – ma devo stare molto attento, anche perché ho avuto diversi infortuni”. E’ rientrato ad agosto al challenger di Aptos, ma si è ritirato durante il primo turno. Ha avuto bisogno di un mese per capire che doveva riprendere dai futures. “Due anni sono un periodo molto lungo. Ma adesso sono quasi contento di questo stop. Ho avuto un lungo periodo di riabilitazione, ho lavorato per rafforzare il mio corpo. Questa pausa mi permette di giocare liberamente e con più tranquillità”. Ha vinto il future di Pune, ma nessuno si aspettava di vederlo così forte a Chennai. A 29 anni, è indubbiamente nella seconda parte della carriera. Ma gli infortuni potrebbero avergli allungato l’attività. “Ci sono tanti giocatori che si ritirano intorno ai 30 anni perché ne hanno passati 10 nel tour. Ma io sono diventato professionista nel 2003 e non ho giocato per la metà del tempo a causa degli infortuni. Ho 29 anni, ma è come se ne avessi 22”. Non ha voluto usufruire della classifica protetta. Voleva mettere tennis nelle gambe. Gli è tornato utile a Chennai, dove ha vinto due duri match di qualificazione contro Yuichi Sugita e James Ward. Ma Prakash ha fatto di più, schiantando alla distanza Rufin, sette anni più giovane. “All’inizio ero un po’ in difficoltà, è stato deludente perdere il primo set, ma ho continuato a spingere e mi sono sentito sempre più a mio agio”. Quando gli hanno chiesto come sta fisicamente, ha detto di sentirsi bene. “Ma mi piacerebbe avere un giorno di riposo prima di affrontare Go Soeda”. Non gli hanno dato retta e lo sbatteranno in campo già domani, addirittura come primo match.
 
Gli organizzatori non lo trattano bene, ma Prakash non perde il sorriso. Due anni fa era sdraiato sul divano e si domandava se avrebbe mai ripreso in mano una racchetta. “Sei mesi fa è successo il miracolo, quando ho iniziato a palleggiare con mio cugino Steven". La gioia è troppo grande. “Sono nato per giocare a tennis, e quando hai il tennis nel sangue non è facile mollare”. Gli hanno anche chiesto i ricordi più belli: per esaltare il patriottismo indiano non ha citato la finale a Newport, bensì un paio di imprese in Coppa Davis, contro Uzbekistan e Giappone. “Ricordi che tornavano in continuazione e che mi hanno dato una ragione per andare avanti”. In questi due anni, Prakash ha lavorato nell’azienda di famiglia. Lontano dal tennis, ma con l’idea fissa di tornare. Non diventerà forte come papà Vijay (vincitore di 29 tornei, di cui 16 di singolare, e quattro volte quartofinalista Slam), ma vuole ancora lasciare il segno. Il ranking non gli interessa, anche se in pochi mesi è salito dal nulla al n. 551 ATP. Salirà ancora. Papà Vijay è fiero di lui. Nonno Robert lo sarebbe ancora di più.