Il piemontese per la prima volta vince due match in main draw ATP: “Penso sia una lezione per i più giovani”
ROMA – «Sono cresciuto nella generazione dei vari Quinzi, Baldi, Donati, tutti ragazzi che per un motivo o per un altro hanno smesso di giocare. Ma io non mi sento un sopravvissuto, non dico che “è meglio tardi che mai”. La verità è più semplice, ognuno ha il suo percorso. La mia storia può essere di insegnamento a tanti ragazzi che a 18 o 20 anni, di fronte alle prime delusioni, credono o si sentono dire che non sono dei fenomeni, che non “arriveranno” mai. Non esistono solo giovani campioni, bisogna continuare a lavorare, a credere nelle proprie capacità, c’è sempre una possibilità». Grande Stefano Napolitano, che dopo tante traversie ha approfittato finalmente di un pizzico di fortuna sotto forma di due lucky loser da affrontare nei primi due turni degli Internazionali.
E così dopo Wolf ha battuto il diciannovenne Juncheng Shang, qualificandosi per i sedicesimi di finale dove lo aspetta il cileno Jarry, vincitore di Arnaldi. A 29 anni, il ragazzone di Biella dal gioco potente e pulito sta vivendo una seconda giovinezza tennistica, o forse è ancora la prima. «Ho avuto momenti di grande difficoltà, ho compiuto scelte sbagliate, ma non ho mai pensato seriamente di smettere, perché ho sempre pensato che non avevo ancora dimostrato tutto il mio valore. E vi assicuro, non mi sento di essermi avvicinato al mio limite».
La sua è una carriera da montagne russe: nel 2015 si rivelava nel Challenger di Todi vincendo i primi 33 punti (golden set compreso, 24-0!) della partita con Virgili, nel 2016 entrava nei primi duecento, un anno dopo debuttava nel tabellone principale di Roma mentre a Parigi superava le qualificazioni (superando tra gli altri Fucsovics e Bublik) per poi battere in primo turno Micha Zverev, il fratello di Sacha. Quindi un veloce e doloroso declino, a causa soprattutto di una lunga serie di infortuni (due ernie, continui problemi alla schiena, una lesione al ginocchio, e anche l’operazione al gomito destro). Insomma, un anno fa di questi tempi Napolitano era oltre il cinquecentotrentesimo posto della classifica (esattamente numero 553) e giocava il “Futures” di Maribor. Poi la ripresa, le vittorie nel 2023 su Fognini e Darderi e quest’anno i trionfi nei Challenger di Bangalore e Madrid, che l’hanno portato sul 125º gradino del ranking. Sempre con pensieri positivi nella testa, aiutandosi con i buoni libri (l’ultimo letto è “The biology of the beliefs”, sul potere della coscienza) e ripetendosi quello che gli disse una volta il papà: meglio diventare una brava persona che un buon tennista.
Caso più unico che raro, Napolitano lavora senza coach, preferisce in questo momento farsi aiutare (a Verona, dove si è stabilito) da Flavio Di Giorgio e Mariarita Tramonte di “Magnitudo Training” oltre che dal mental coach Stefano Massari. «A volte mi tornano in mente consigli e indicazioni ricevuti in momenti anche lontani della mia carriera. Oggi, per esempio, mi sono spuntate nella testa delle frasi di Ljubicic, di sette o otto anni fa, che mi hanno aiutato in un momento delicato del match. Cosa ho pensato invece dopo il match point? A una chiacchierata con alcuni amici, nel periodo del Covid. Stavo recuperando dall’ennesimo infortunio e dissi loro che mi sarebbe piaciuto tornare a giocare al Pietrangeli, dopo la prima volta a Roma (contro Troicki, ndc). Questo è un campo particolare, molto grande, senti la gente addosso, non è facile da gestire. Avvertivo il tifo e volevo fare molto bene. Questa cosa all’inizio mi ha schiacciato, e all’inizio del secondo set ero in difficoltà. Però non potevo mollare, sapevo che dovevo trovare il mio gioco per vincere e mi sono detto, “Credici e qualcosa di bello succederà”. È tutto incredibile». Merito anche delle polpette della nonna di cui si sente tanto parlare? «E’ possibile, hanno un potere straordinario, evidentemente anche sul mio gioco…».