WIMBLEDON – Sull’orlo del baratro, lo scozzese non si lascia andare e batte in rimonta Fernando Verdasco. Le sconfitte del passato gli sono servite. Adesso c’è Janowicz. 
Fernando Verdasco ha messo paura a Murray e a tutto il pubblico del Centrale

Di Riccardo Bisti – 4 luglio 2013

 
“Tiene miedo, Verdasco tiene miedo”. Verdasco ha paura. La gente di Mar Del Plata provava a intimorirlo così durante la finale di Coppa Davis 2008, nel weekend in cui il madrileno ha capito che sarebbe potuto diventare un top-player. Gli urlavano contro, ipotizzavano tradimenti dell’allora fidanzata Ana Ivanovic. Tutto inutile. Vinse il doppio e regalò alla Spagna il punto decisivo. Quell’esperienza gli è servita fino a portarlo tra i primi 10 e giocare un memorabile Australian Open 2009. Allora, batte anche Andy Murray. Si sono ritrovati sul Centre Court, quattro anni e mezzo dopo, e nulla sembrava cambiato. Era come se Murray non fosse diventato il numero 2 ATP, campione olimpico e vincitore dello Us Open. E come se Verdasco non fosse piombato fuori dai top 50, con età e bella vita che vanno di pari passo con il declino. Ma da quando ha trovato la racchetta giusta, Nando ha ripreso il discorso interrotto. Come se avesse ritrovato nello sgabuzzino un libro che aveva iniziato a leggere ma poi si era perso durante un trasloco. Murray ha dovuto dare tutto, forse anche di più, per vincere 4-6 3-6 6-1 6-4 7-5 e azzannare un posto in semifinale (la quinta consecutiva) contro Jerzy Janowicz, il bombardiere polacco da cui ha perso a Parigi Bercy. Non sarà un match facile. Ma ai missili di Jerzy ci penserà tra qualche ora, dopo aver metabolizzato una partita che stava per gelare il Centre Court. Verdasco ha fatto tutto quel che serviva: missili al servizio, dritti fulminanti, rovesci lungolinea a chiudere, rovesci slice a tenere lo scambio nei momenti di difficoltà. Per lunghi tratti, è sembrato che Rafael Nadal si fosse incarnato a SW19. In effetti, lo spagnolo ama battere Murray su questo campo: c’è riuscito tre volte su tre.
 
Chissà, magari Verdasco gli ha fatto un colpo di telefono prima di scendere in campo. Per due set, il piano ha funzionato alla perfezione. Il tennis scintillante dello spagnolo costringeva Murray 2, 3, 4 metri dietro la linea di fondo. Giocando così da lontano, nemmeno un velocista come lui riusciva a ribaltare lo scambio. Quando Fernando si è aggiudicato i primi due set, e quando ha avuto quattro delicate palle break nel quarto, Murray ha fatto un gran respiro e ha ripensato ai suoi sogni di bambino, ben espressi nella lettera pubblicata da ESPN in questi giorni, in cui dodici sportivi di livello hanno scritto a se stessi….dodicenni. Murray ha ricordato la rabbia di quando perse un match del campionato junior scozzese, dove era nettamente favorito. Era talmente arrabbiato che scagliò via la racchetta oltre la recinzione. Era la frustrazione di chi vedeva nel tennis tutto ciò che desidera. La tentazione di fare altrettanto c’è stata. Avrebbe potuto lanciare via la sua Head, litigare con se stesso e lasciare il successo allo spagnolo. Invece ha riflettuto e ha realizzato che stare sul Centre Court è unicamente fonte di gioia. E così, dopo aver dominato il terzo, ha cancellato le palle break nel quarto (due sull’1-1, altrettante sul 3-3) con altrettanti servizi vincenti. E il match si è rimesso in piedi. Il servizio ha ripreso a funzionare, tanto che nel quinto set non ha concesso nulla, nemmeno quando è andato a servire sul 4-5. Da parte sua, Verdasco non ha avuto “miedo”, anzi. Si è cavato d’impiccio più volte, ha giocato con personalità, la stessa che gli consente di pettinarsi come un’attore degli anni 60. Ma l’intensità è calata, fino a franare definitivamente nell’undicesimo game. E così Murray ha potuto agitare il pugno, fare un grosso sospiro di sollievo e ringraziare le bizze da dodicenne, quelle che gli hanno impedito di vincere il campionato scozzese, ma che gli hanno permesso di restare in gara a Wimbledon. Nel cambio, ci ha guadagnato.
 
“Nel primo set, Fernando è stato spettacolare – ha detto a caldo – mentre nel secondo io sono calato nettamente. Per fortuna mi sono ripreso in tempo e sono riuscito a girarla” ha detto a caldo, consapevole che il sogno Wimbledon dista soltanto due match, difficili ma non certo impossibili. Giunti alla stretta finale, non ha senso ricordare dati e statistiche. Tutti sanno quanto sarebbe importante, per Andy e per i britannici, che un suddito di Sua Maestà torni a vincere i Championships. Si è scatenata una psicosi: diversi spettatori con il biglietto del Campo 1 hanno preferito abbandonare le tribune per andare sulla Murray Mound (la ex Henman Hill) per seguire il match dal maxi-schermo. E durante Janowicz-Kubot, con tutto il rispetto, le tribune erano semivuote. Andy sta gestendo bene la pressione. Difficilmente lo vediamo sorridere, ma sembra che sia riuscito a cogliere le cose belle di questo torneo, ricordandosi che di cose brutte – in fondo – non ce ne sono. L’ultimo ostacolo prima della finale si chiama Jerzy Janowicz, lo stesso con cui ha perso a Bercy, ma lo stesso che ad Halle ha perso contro il bosniaco Mirza Basic. Per questo (e non solo), il polacco scenderà in campo con le ali ai piedi e tutta la leggerezza del mondo. E tutto questo, Murray, lo sa.
 
WIMBLEDON 2013 – UOMINI
Quarti di finale

Jerzy Janowicz (POL) b. Lukasz Kubot (POL) 7-5 6-4 6-4
Andy Murray (GBR) b. Fernando Verdasco (SPA) 4-6 3-6 6-1 6-4 7-5