Andy Murray a cuore aperto con ESPN Magazine. “C’è stato un momento in cui pensavo solo agli Slam e trascuravo il resto. Obiettivi? Voglio accorciare i punti e allungare la carriera”
“Vincere Olimpiadi e Us Open mi ha tolto un grosso peso dalle spalle”
TennisBest – 10 dicembre 2012
Se Novak Djokovic ha chiuso l’anno al numero 1, vincendo Australian Open e ATP World Tour Finals, e Roger Federer si è aggiudicato Wimbledon e ha superato il muro delle 300 settimane in cima al ranking, il 2012 è stato anche l’anno di Andy Murray. Lo scozzese ha trionfato alle Olimpiadi e ha messo fine all’incubo-Slam vincendo l’Open degli Stati Uniti. Da gamba zoppa dei Fab Four, è diventato un possibile protagonista. Adesso è a Miami per rifinire la preparazione in vista del 2013, anno in cui potrebbe dare l’assalto al numero 1. “Anche se la preparazione è sempre finalizzata a vincere i tornei”. Andy ha rilasciato un’intervista a ESPN Magazine, in cui ha fatto il punto della situazione tra passato e futuro, senza disdegnare qualche riflessione extra. Ve la riproponiamo.
Più di una volta, la scorsa estate, sei andato a Wimbledon quando non c’era nessuno e ti sei seduto sugli spalti deserti. Cosa ti hanno detto quegli spazi vuoti?
Era il tempo di riflettere. Di solito, quando scendo in campo, provo a stare concentrato sulla partita. Ma quando sei seduto e non c’è nessuno hai tempo di pensare a tutte le partite che hai giocato su quel campo. Anche i ricordi dei match che ho visto sin da quando ero un ragazzino. Quel campo ha così tanta storia che rifletterci su mi ha aiutato a realizzare cosa significhi giocarci sopra.
Ti ha aiutato a vincere l’oro olimpico?
Aver giocato una finale di Wimbledon appena un mese prima mi ha aiutato più di ogni altra cosa. Quando ho giocato con Djokovic nella finale dell’Australian Open, lui aveva già vissuto un’esperienza del genere e aveva anche vinto. E anche Federer aveva giocato molte finali di Wimbledon prima che ci affrontassimo. Non avevo ancora vissuto certe situazioni, quindi l’esperienza di Wimbledon mi ha aiutato la volta successiva che ho messo piede su quel campo.
Dopo la sconfitta a Wimbledon, hai iniziato il tuo discorso, quasi in lacrime, dicendo che eri andato molto vicino alla vittoria. I fans sono impazziti. L’attenzione che hai nel Regno Unito non può essere malsana?
(ride). Non so se la gente fosse dispiaciuta per me o semplicemente era la prima volta che vedevano un certo tipo di emozione dal sottoscritto. Sai, io sono molto emotivo nel corso delle partite, ma quando le telecamere sono accese non sono particolarmente aperto, soprattutto negli ultimi anni. Così hanno visto un lato diverso di me. Si, ho sentito un tifo diverso alle Olimpiadi. Credo che mi abbia aiutato a superare l’ostacolo.
Il tuo rapporto con i media è cambiato?
Ho impiegato un po’ ad abituarmi alle aspettative dei media. Una vittoria Slam è qualcosa che il mio paese ha aspettato per molto tempo, e vincere uno Slam è qualcosa che volevo troppo. Ero talmente ossessionato che non mettevo bene a fuoco le partite. Ero interessato solo agli Slam. Questo non è positivo, ma è soprattutto colpa mia. Ma vincere le Olimpiadi e lo Us Open mi ha tolto un enorme peso dalle spalle.
Come è cambiato il tuo gioco?
Mi sento più libero di tirare i miei colpi ed essere più aggressivo. Ho imparato che è meglio giocare la partita a modo mio e prendere qualche rischio in più, invece di lasciare che sia il mio avversario a dettare gli scambi. Non sento la pressione di dover dimostrare qualcosa ogni volta che scendo in campo.
Sean Connery, scozzese come te, era allo Us Open a tifare per te. C’era anche tua mamma, capitana della Fed Cup britannica. Chi è più duro? James Bond o tua madre?
(ride). Penso che avrei preso James Bond al posto di mia madre in ogni giorno della settimana. Sono un grande fan di James Bond, quindi sarebbe stato “cool”. L’ho incontrato qualche volta, è un uomo molto duro. Ma mia mamma è molto emotiva, proprio come me. Penso che a volte soffra per le mie sconfitte ancor più di me.
Durante la finale dello Us Open, hai preso due set di vantaggio ma poi Djokovic ti ha raggiunto e siete andati al quinto. Il match è durato quasi 5 ore e c’è stato uno scambio di 54 palleggi. Come si fa a mantenere la concentrazione quando i punti sono così lunghi? Ti capita mai di lasciar vagare la mente, come se una Jaguar avesse bisogno di un cambio d’olio?
Si, quando sei nel mezzo di scambi di quella lunghezza, puà capitare. Ma poi senti l’urlo della folla e le gambe iniziano a bruciare. Accade questo quando gli scambi diventano così lunghi. Ricordo abbastanza bene quel punto, è stato incredibile. Entrambi eravamo molto provati alla fine dello scambio. Ma mi sto abituando a giocare contro Novak. Ogni volta che giochiamo uno contro l’altro, gli scambi sembrano non finire mai.
Hai 25 anni. In molti si chiedono se le ginocchia di Nadal torneranno al 100%, e tu hai avuto bisogno di prendere antidolorifici alla schiena prima del Roland Garros. Il tennis sta diventando come il football NFL, dove le carriere durano in media 6 anni?
Non penso. Nadal è diventato numero 2 del mondo quando aveva 19 anni e oggi ne ha 26. E’ sempre stato tra i primi per otto anni. Il suo tennis è estremamente fisico, forse più di chiunque altro, anche considerando i giocatori del passato. Eppure è riuscito a rimanere in alto. Ovviamente Federer è stato capace di rimanerci per moltissimo tempo. Djokovic è in cima da 5-6 anni, e non sembra essere in fase calante. Anche io penso di essere su buoni livelli da 4-5-6 anni. Forse la cosa diversa è che i tennisti hanno bisogno di più tempo per raggiungere il picco del loro rendimento. Non penso che vedrete qualcuno in grado di vincere uno Slam a 19 anni come ha fatto Nadal. Guarda quanti teenagers ci sono tra i top 100: forse uno. Quando ho iniziato io, ce n’erano almeno otto o nove. L’età media dei top 100 era 24-25 anni, mentre oggi è salita a 27-28.
Ma non è che il tennis difensivo poi faccia pagare il conto?
In realtà, oggi il serve and volley non è più così efficace. Molti giocatori hanno fatto fatica a restare nella parte alta del ranking quando si giocava in quel modo, perché è un modo molto esplosivo di muoversi. Guarda Andre Agassi: è rimasto in vetta per 16 anni dettando gli scambi da fondocampo, mentre alcuni ragazzi che giocavano serve and volley – Stich, Rafter, Krajicek – hanno smesso di giocare piuttosto giovani perché il loro gioco era molto dispendioso.
Guardando Djokovic che cerca di difendere tutti quei punti, hai mai pensato che essere numero 1 ATP sia un po’ sopravvalutato?
Penso che a molti giocatori piacerebbe dire, a un certo punto della loro carriera, ‘Sono stato numero 1 del mondo’. Ma ho parlato dell’argomento con Roger Federer e – ovviamente – con Ivan Lendl. Il focus deve essere sulle vittorie nei tornei, soprattutto gli Slam. La loro attenzione è soprattutto su questo, piuttosto che sulla corsa al numero 1. Se tu cerchi disperatamente di diventare numero 1 devi cambiare programmazione, giocare più tornei. Se giochi male un paio di tornei, devi aggiungerne altri nel tuo calendario. E alla lunga lo puoi pagare. E’ clamoroso pensare che, dopo il suo 2011, Djokovic abbia già perso il comando dopo 5-6 mesi del 2012. E non aveva certo iniziato male la stagione. Ha vinto l’Australian Open, ha fatto finale al Roland Garros e semifinale a Wimbledon. Eppure, nonostante avesse perso 5-6 partite, ha ceduto il numero 1. Qualcuno potrebbe pensare che così non è corretto.
E’ passato ormai un anno dall’inizio della collaborazione con Lendl. Lui ha avuto molto credito per i tuoi miglioramenti sul dritto e la capacità di colpire in anticipo. E’ stata la sua influenza?
Ho sempre lavorato su queste cose. Ma un conto è farlo in allenamento, un altro è su una palla break nel quinto set di uno Slam. E’ soprattutto una questione di mentalità, e con Ivan ne abbiamo parlato prima dei grandi match di quest’anno. “Se devi perdere, fallo colpendo. Non appoggiare il culo sui teloni di fondocampo, rincorrendo ogni palla’. Riuscire a farlo in partita è qualcosa di cui gli devo dare grande credito.
Ti trasmette qualcosa guardare il tuo box e vedere la sua espressione di ghiaccio?
Si, avere qualcuno che è già passato in quelle situazioni – mentalmente, fisicamente, emotivamente – ha un effetto calmante. Ha avuto le mie stesse esperienze in termini di sconfitte nelle grandi partite e finali Slam contro McEnroe e Connors, poi finalmente è riuscito a capovolgere la situazione. Ci sono molte somiglianze sull’inizio delle nostre carriere. Non posso promettere che terminerò la mia come la sua, perché sarebbe incredibile.
Parli ancora molto con te stesso durante i match.
Si.
In realtà ti maledici parecchio. A tal punto che durante il torneo di Roma ti sei anche preso un warning.
Ovviamente dire “m….” o qualcosa del genere è qualcosa di cattivo e sbagliato, vorrei smettere di farlo. Ma non è così tremendo come quello che dicono alcuni tennisti stranieri. Non voglio fare nomi, ma alcuni di loro dicono cose tremende. Il problema è che gli arbitri conoscono l’inglese.
Sei un appassionato di boxe. Preferisci Pacquiao o Mayweather?
Mayweather. Mi piace vederli combattere, spero succeda di nuovo. Sono entrambi incredibili, ma Pacquiao fa più errori, mentre Mayweather capitalizza gli errori meglio di chiunque altro.
Trascorrerai il mese di dicembre in compagnia di Lendl a Miami. Su cosa lavorerete?
Voglio trovare il modo di accorciare i punti. La transizione da fondocampo alla rete è qualcosa che potrei migliorare. Ho voglia di accorciare i punti venendo più spesso a rete, attaccando la seconda di servizio dell’avversario e migliorando la mia seconda, in modo da non dover correre troppo. Se adotti un tennis troppo fisico, se giochi punti troppo lunghi, è qualcosa che può influire sulla durata della tua carriera.
A parte questo, hai un obiettivo per il 2013?
Ad essere onesti, il prossimo grande obiettivo è l’Australian Open. Non guardo più avanti di questo. E se dovessi fare bene lì, avrei dato un colpo alla prima parte del 2013 e magari potrei lottare per diventare numero 1.
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