Se Andy Murray riprodurrà in finale la precisione e la pazienza con cui ha maciullato Stan Wawrinka, potrà aspirare a un clamoroso titolo al Roland Garros. Potrà aspirare al ruolo di guastafeste per il trionfo annunciato di Novak Djokovic. D’altra parte, l’ha detto anche John McEnroe: questa è la più grande occasione, per Murray, di vincere lo Slam più ostico. “Non so se si ripresenteranno condizioni altrettanto favorevoli” ha detto l’americano, uno che se ne intende di occasioni sciupate a Bois de Boulogne (per informazioni, riguardatevi la finale del 1984). In due ore e trentaquattro minuti, Murray ha commesso appena 22 errori gratuiti (poco più di cinque per set) e ha raccolto un interessante 79% di punti con la prima palla. Con questi ingredienti, ha infilato il 6-4 6-2 4-6 6-2 che gli regala la prima finale a Parigi e mette fine a una striscia negativa che, contro Wawrinka, perdurava da quattro anni. Se Djokovic aveva giocato la sua miglior partita del torneo in semifinale, Andy non ha voluto essere da meno. E ha dimostrato, ancora una volta, di aver definitivamente domato i segreti della terra battuta. 79 anni dopo, un britannico torna a giocarsi un titolo al di qua della Manica. L’ultimo era stato Bunny Austin nel 1937, ma tranquilli: Fred Perry entra anche in questa statistica. E’ stato lui, nel 1935, l’unico britannico a vincere a Parigi da quando il torneo è stato aperto agli stranieri. “Sapevo che per battere Stan avrei dovuto giocare una delle mie migliori partite sulla terra – ha detto Murray a una smagrita Marion Bartoli – il record di Stan negli ultimi due anni è incredibile. Sono orgoglioso di essere in finale, non avrei mai pensato di arrivarci. Ho faticato per anni sulla terra, ma adesso è la superficie dove vanto alcuni dei miei migliori risultati”. Lo diceva senza sorridere, neanche un accenno. Un po’ è il carattere, un po’ la consapevolezza che dei secondi non si ricorda nessuno. E allora vuole restare concentrato e giocarsi a fondo la sua finale. Arrivato a questo punto, vuole vincere.
Murray ha dominato i primi due set. Nel primo gli è bastato un break al terzo game, ma il divario avrebbe potuto essere ancora più netto se Wawrinka non avesse cancellato due palle break sul 2-4. Il game più importante è stato il decimo del primo set, quando Murray ha servito per il 6-4: l’ha ottenuto dopo aver annullato due palle break per un pericoloso 5-5. In entrambe le occasioni ha chiesto e trovato aiuto dal servizio. Evitata la corsa ad handicap come gli era successo contro Gasquet, ha aumentato la qualità del suo tennis trovando un altro break al terzo game del secondo set. Stavolta il doppio break arrivava e il 6-4 6-2 era ampiamente infiocchettato. Con le spalle al muro, lo svizzero ha aumentato i giri del motore, ha preso qualche rischio in più e si è giocato un terzo set alla pari. Tanto coraggio è stato premiato sul 5-4, quando ha tolto il servizio a Murray per la prima e ultima volta nel match. Ma le statistiche erano crudelmente contro di lui: in carriera, Murray si era trovato avanti di due set per 137 volte. E in 136 occasioni aveva vinto. L’impressione è che Stan abbia bruciato le residue energie psico-fisiche per aggiudicarsi il terzo set, tanto da andare subito in rimonta nel quarto. Break al primo, break al settimo gioco e Murray in finale. A dare l’idea dell’assenza di energie in Wawrinka, l’ultimo punto: poteva sparare un passante di rovescio, magari a occhi chiusi, invece ha provato un inutile pallonetto che si è consegnato alla facile volèe alta di Murray. Pugnetto, aria grintosa, intervista, impegni post-match e poi subito a ricaricare le batterie. Andy sarà sfavorito, ma non era mai arrivato così bene a una finale Slam contro Djokovic. Un paio le ha anche vinte, ma il precedente di Roma lo carica di entusiasmo e aspettative. A 29 anni, ha imparato a gestirle.
Andy Murray (GBR) b. Stan Wawrinka (SUI) 6-4 6-2 4-6 6-2