L’inizio del Masters 1000 di Monte Carlo segna l’inizio della grande stagione sulla terra rossa. Assenze di spicco, ma anche grandi protagonisti, in uno scenario magico

Dov’eravamo rimasti? Ah già, un anno fa ci eravamo congedati attardandoci sulla bellezza dei suoi colori. Sul chiaro predominante di un pubblico tanto chic misto al rosso mattone di quel «Ranieri III» affacciato sull’azzurro turchino di una baia mozzafiato, punteggiata da poveri yacht. A tinteggiare oltremodo i pensieri del pubblico ci si erano messi anche i piedi di Alejandro Davidovich Fokina, calati in calze di pigmento opposto per il solo vezzo, tutto scaramantico, di rendere ancor più vigorose gambe color carne. Affidato al nero di un calzerotto sinistro e al bianco del suo omologo destro, il rituale aveva retto fino all’epilogo della grande avventura, quando i due sudaticci indumenti dello spagnolo avevano finito per avere la peggio contro quelli più uniformi e velatamente biancastri di Stefanos Tsitsipas.

Un anno è passato, e dopo la sbornia cementifera della Sunshine Double americano, tocca ancora una volta a Monte Carlo riaprire i battenti della grande stagione terraiola tutta europea, e voci di rimbalzo affermano che anche quest’anno le calze difformi di Davidovich Fokina finiranno con l’arricchire la policromia del grande appuntamento, unico dei Masters 1000 a non avere obbligo di partecipazione. Tutti gli altri godono dello status di mandatory, condizione privilegiata che, da regolamento, impone ai migliori di non disertare. E dove non c’è dovere c‘è piacere, lo stesso che tennisti di tutto il mondo accordano ai campi scalinati del Monte-Carlo Country Club. Al punto da volerlo issare, già diverse volte a miglior torneo dell’anno.

L’albo d’oro parla chiaro: gli undici titoli di Nadal dell’era open, distanziano di molto i tre di Nastase, Borg e Muster degli anni ’70 mentre dai giorni lontani del dilettantismo puro, arrivano gli echi di epiche terzine compiute da Lowe, Cochet e Nicola Pietrangeli. Sulle ali del tempo, poi, affiorano anche le 5 vittorie di Antony Wilding appena prima della Grande Guerra, nonché le 6 di Reggie Doherty e le 4 di suo fratello Lawrence a inizio ‘900. Insomma un appuntamento, quello alle porte, che regala al mondo il pathos della grande tradizione, la stessa che avvolge i trionfi moderni di Stefanos Tsitsipas, deciso, anche lui a scrivere la sua trilogia circa le vicende tennistiche del Principato.

Ai nastri di partenza mancherà Nadal e insieme a lui altri veterani di livello come Carreno-Busta e Gael Monfils. Ma gli acciacchi, si sa, non sono solo roba da veterani incalliti e a marcare visita, in questa prima settimana di rosso, saranno anche giovani come Alcaraz e Auger-Aliassime, Korda e Shapovalov, Paul e Nishioka. Gli altri, viva il cielo, ci saranno tutti e nell’entry-list svettano sette dei primi dieci del mondo, tutti pronti a infarinarsi come pesci pur di portare a casa la dura pagnotta. Atteso è il ritorno del primo della classe, quel Novak Djokovic col dente avvelenato per questioni di covid, che certamente nutre tacite mire verso il rosso di Parigi, seconda tappa di un possibile Grande Slam. Ma il tennis, è noto, si alimenta di episodi e insegna che non sempre le classifiche raccontano sputate verità. Al contrario, i pronostici possono avere le gambe corte e ogni previsione può divenire materia per abili fattucchiere.

Il resto attiene a un appuntamento sociale unico nel suo genere. Uno spaccato di vita che rimanda a fiabe che fiabe non sono, storie fantastiche di grandi star andate spose a principi regnanti e di bellissime principesse sedute su uno scoglio ad ascoltar poesie di gauchos mancini arrivati dalle pampas. Insomma, non solo tennis a Monte Carlo e quando domenica 16, le ombre caleranno sul rito finale della premiazione, saremo tutti un po’ più tristi. Ma non pensiamoci ora. Ssstt! lo spettacolo sta per avere inizio…