RAFA X, L’UOMO DA BATTERE
Impossibile non partire dal ragazzo di Manacor, nel rispetto di un principio che lo vede (quasi) sempre dominatore sin dal lontano 2005. Rafa Nadal ha spadroneggiato nella più lussureggiante delle sue roccaforti, griffando il decimo trionfo nel Principato. Il diavolo maiorchino è tornato a vincere una finale come non accadeva da un anno (Barcellona 2016) e lo ha fatto, in buona sostanza, passeggiando dall’esordio alla finale col solo fastidio di un terzo set concesso a Kyle Edmund, all’esordio. Rafa ha spazzato via dalla sua marcia trionfale il baldo Zverev, liquidato in 68 minuti con un duplice 6-1 che se non boccia quantomeno rimanda il tedesco, per poi surclassare agilmente Schwartzman, Goffin e Ramos. La parte preoccupante (per la concorrenza) è che non si è assistito a un Nadal straripante, anzi l’iberico ha ampi margini ancora e oggi è francamente impossibile non individuare nel suo nome il favorito per tutto ciò che si giocherà da qui a Parigi. Rafa è tornato ad essere l’uomo da battere.
NOLE IN BIANCO
In casa Djokovic il torneo di Monte-Carlo non ha fatto altro che confermare la tendenza dal post-Roland Garros fino ad oggi. Il serbo pare un giocatore anonimo, svuotato di quell’animus pugnandi che l’aveva portato a schiacciare l’intero circuito, piegandolo alla sua volontà. Mister Fantastic si trascina di torneo in torneo rimediando sconfitte puntuali senza dare l’impressione di voler assestare il guizzo decisivo. Nel Principato, dove peraltro risiede e dove possiede un ristorante inaugurato lo scorso anno, Nole doveva perdere già contro Simon prima di rischiare grosso contro Carreno per poi capitolare, infine, contro Goffin in un match che l’ha visto dilapidare un break di vantaggio nel terzo set. La sensazione è che i problemi del belgradese risiedano nella testa più che nel braccio, e che la sua concentrazione sia catalizzata altrove e lontana dalle questioni di campo.
DELUSIONE MURRAY
In cima alla lista dei deludenti campeggia il nome di Andy Murray, anche perché il suo nome è in cima anche alle classifiche mondiali. Da quando siede sul trono del tennis, ovverosia dalla vigilia delle Finals, il britannico ha tradito le attese inanellando risultati mediocri in serie: oltre al titolo di Dubai – dove peraltro ha avuto in Pouille l’antagonista più minaccioso in termini di ranking – Andy ha perso la finale a Doha, negli ottavi di Melbourne contro Mischa Zverev, all’esordio di Indian Wells contro Pospisil e a Monte-Carlo contro Ramos inscenando nell’occasione un suicidio sportivo (era avanti 4-0 e servizio nel terzo set prima di perdere sette degli ultimi otto game). Il problema al gomito – a suo dire – è risolto, ma la fiducia nel serbatoio rasenta lo zero e la wild card chiesta (e ottenuta) a Barcellona ne è l’emblema. Lo scorso anno un’eccelsa stagione sul rosso lanciò il secondo semestre monstre dello scozzese, quest’anno è ancora fermo al palo.
OUTSIDER
Quando i big non brillano, ovviamente si accendono gli outsider, mine vaganti che si infilano nei vuoti d’aria del tabellone per centrare l’exploit della carriera. L’esempio lampante – e banale – è ovviamente Albert Ramos: prima del torneo monegasco, non aveva centrato neanche un quarto di finale a livello Masters 1000, invece la MCCC si è catapultato fino all’ultimo atto. Assieme a lui hanno trovato gloria Schwartzman e Cuevas – rispettivamente alla prima e seconda apparizione tra gli ultimi otto di un Masters 1000 – e Pouille, seconda semifinale in carriera di tale blasone.
REMUNTADE
Se dal punto di vista del blasone è stato un torneo scarso, non può dirsi altrettanto sotto il profilo emozionale. Tante lotte serrate, tanto pathos e, soprattutto, tantissime rimonte. Da Djokovic che ne infila una all’esordio salvandosi dal baratro e ne evita per un pelo un’altra contro Carreno, ai quarti di finale dove su quattro partite ben tre sono state intascate da chi al set decisivo era indietro di un break e appeso un filo: Ramos su Cilic, Pouille su Cuevas e Goffin su Djokovic stesso. La più roboante, ovviamente, è quella di Ramos: lo spagnolo ha ribaltato una situazione impossibile contro il numero uno del mondo.
CASA AZZURRI
Scorrazzando su e giù per le tortuose vie del Country Club è più facile riconoscere l’idioma italiano che altri. Monte-Carlo è, probabilmente, il secondo torneo d’Italia, anzi per i settentrionali è molto più il torneo di casa quello monegasco degli Internazionali romani. Per Lorenzi-Granollers, sballottati sul campo 9, non era disponibile un seggiolino già mezz’ora prima del “play” del giudice di sedia, tant’è che Gerard Granollers – fratello e coach di Marcel – ha dovuto chiedere (con estrema educazione) un posto per seguire il match. Nonostante ciò, le speranze di rivalsa azzurre sono inesorabilmente aggrappate al talento di Fabio Fognini con Seppi e Lorenzi – ottimi gregari – che però fanno quello che possono (non tantissimo, al momento). Bravo il senese a superare Granollers, quarti di finale per lui dodici mesi fa in questo torneo, prima di arrendersi a Pouille, mentre Seppi – qui dentro grazie a wild card – ha dovuto alzare bandiera bianca racimolando quattro game contro Zverev.
E FEDERER…
Vedendo Nadal disporre con cotanta facilità della concorrenza, pur senza strabiliare, inevitabilmente la mente va a Roger Federer, unico mattatore del primo trimestre ATP. Suggestioni e sensazioni lo vedono competitivo al massimo anche a Parigi, dove dovrebbe (condizionale obbligatorio) tornare…in effetti, come si fa a pensarla diversamente? Certo è, altresì, che sporcare le scarpe di terra per la prima volta a Parigi sulla lunghezza del tre su cinque non è per nulla un elemento trascurabile. Resta a ogni modo indicativo il fatto che anche solo poter annoverare Federer tra i principali indiziati di vittoria finale a Bois de Boulogne era pura fantascienza fino a qualche mese fa ma, del resto, cosa non lo era di questo folle 2017?