In una lunga intervista a La Naciòn, la tennista portoricana ha ripercorso gli anni più bui della sua carriera: tutto cominciò dalla gioia di Rio 2016

L’exploit alle Olimpiadi: “A Rio senza pressioni”

Il tennis, forse più di ogni altro sport, può repentinamente farti toccare il cielo con un dito per poi trascinarti in un vortice di negatività difficile da superare. Come molti altri atleti, la spirale in cui è stata avvolta Monica Puig ha un nome specifico, che spesso spaventa ma che solo con la sua accettazione si può prima affrontare e poi, eventualmente, superare: quella spirale si chiama depressione. Dall’oro olimpico di Rio de Janeiro 2016 la giocatrice di San Juan era diventata per il Porto Rico un’eroina nazionale, un idolo che in un momento particolarmente delicato era riuscito a regalare un sorriso ad una popolazione turbata da gravi difficoltà socio-economiche: “Ritornata nel mio paese ero in stato di shock – ha confessato – molte persone si sono riversate nell’aeroporto e nel tragitto verso l’hotel: avevo 18 poliziotti che mi scortavano, quella medaglia significò molto per la gente di Porto Rico. La crisi finanziaria imperverversava, tutti stavano vivendo un brutto momento, ma il mio trionfo è stata come un’aria di boccata d’aria fresca ed ha dato un po’ di felicità a tanta gente”. Con la vittoria ai danni di Angelique Kerber, numero 2 del mondo, Monica riuscì infatti ad ottenere un upset insperato regalando alla sua nazione il primo oro olimpico della sua storia. Un traguardo forse impensabile, per una giocatrice che era da poco entrata tra le prime 40 giocatrici della classifica Wta. Ed invece nel suo percorso mise in riga tutte le altre, comprese la ceca Petra Kvitova – che ottenne il bronzo – e l’allora numero 3 del mondo Garbiñe Muguruza: “Non avevo alcuna aspettativa – ha esordito la portoricana – sono arrivata a Rio per divertirmi. Mi sentivo libera, energica, e soprattuto non sentivo la pressione. È stata una settimana meravigliosa”.

Dalla gloria alla depressione

Una vittoria di certo non annunciata, ma che a 4 anni di distanza ha convinto Puig a credere in una sorte di “disegno” che l’avrebbe portata ad ottenere uno dei riconoscimenti più prestigiosi ottenibili nella carriera di un’atleta professionista: “Prima del viaggio per Rio sono successe cose curiose: mia mamma, mio fratello e mio padre mi hanno portato all’aeroporto e ho scritto loro un bigliettino, che hanno aperto solo quando mi hanno lasciato. Diceva qualcosa del tipo: ‘Eccomi, sulla strada per i miei primi giochi olimpici, grazie per avermi lasciato in aeroporto, appoggiandomi sempre sia nei momenti positivi che in quelli negativi. Non riesco a credere di essere un atleta olimpico, spero che possiate vedermi tornare con l’oro’. Tra l’altro, due o tre giorni prima di andare ai Giochi abbiamo adottato un cane e l’abbiamo chiamata Rio. Prima della finale, quel cane ha iniziato a giocare con una bottiglia di champagne, che aveva i colori dell’oro. È come se tutto stesse andando verso quella direzione”. Una direzione talmente impronostabile da stordire, un cambio così netto in termini di popolarità e responsabilità che hanno destabilizzato l’umore sempre pacato di Monica: “Dopo la vittoria ho avuto problemi a giocare di nuovo. Ero debole. Sentivo che le persone si aspettavano molto da me, ma io non ero pronta per quel tipo di successo. Avevo già avuto buoni risultati, ma niente di abbastanza grande da poter dire: ‘So già come gestirlo’. Non ero mai arrivata lontano nei Grand Slam, avevo vinto solo un torneo a livello Wta (a Strasburgo, ndr) e non sapevo come gestire la situazione. In sostanza mi mancava la maturità. Mi sono resa presto conto che ero depressa, non avevo il coraggio né la voglia di fare niente: la situazione mi ha del tutto sopraffatto. Anche i social network mi hanno colpito. Ognuno mette le foto quando è sorridente e felice, ma la realtà è ben diversa. Molti mostrano un’immagine molto falsa: vuoi mostrare al mondo quanto stai bene, ma magari in realtà sei a letto. Voglio essere molto sincera, perché so che gli atleti sono modelli per i giovani e voglio che sappiano che non è tutto roseo”.

Una visione chiara e lucida, frutto di anni in cui l’introspezione ha giocato un ruolo fondamentale per arrivare ad una nuova consapevolezza, che nella mente della portoricana vuole far rima con rinascita.

Un nuovo team per la rinascita

“Gli ultimi tre anni sono stati così. Uscivo con la mia famiglia ed ero distratta, guardavo nello spazio ed ero triste. Ho letto che questo è un trauma comune, che si verifica dopo aver vinto qualcosa di così importante e che è successo a molti campioni olimpici, come Michael Phelps e Missy Franklin. È come una depressione, dopo essere stato in cima al mondo pensi: ‘E adesso?’ Raggiungi la cima e guardi in basso. Solo ora mi rendo conto che era qualcosa di magnifico, che mi ha insegnato che avrei potuto raggiungere quel tipo di traguardi. Ora il mio sogno è di ritornare a quei livelli”.

Una missione di certo non semplice, visto la sempre crescente concorrenza per i vertici del circuito femminile. A complicare il tutto l’operazione subita al gomito destro, che l’ha tenuta lontana dal rettangolo di gioco da ottobre, dai quarti di finale raggiunti nel torneo di Lussemburgo. Il peggio ora sembra passato: Monica, affiancata dal nuovo coach Diego Veronelli e dal preparatore Claudio Galasso – che ha accompagnato David Nalbandian dal 2007 al 2013 – ha deciso di ritornare alle competizioni già nel ricco torneo di Indian Wells, 125k in programma questa settimana. Ora è il momento di amare me stessa – ha concluso l’attuale 87 del mondo – devo cercare di guarire tutto ciò che è stato danneggiato dentro e fuori di me, devo uscire e competere con gli stessi artigli che avevo quattro anni fa”.