US OPEN – A 18 anni dal trionfo nel torneo junior, Mirjana Lucic-Baroni infila l’exploit del torneo, maciullando le resistenze della Halep. Quando le hanno chiesto del passato si è messa a piangere, ma poi ha ruggito: “Sono ancora molto motivata. Mi sento una 15enne”. Negli ottavi sfiderà la Errani.

Di Riccardo Bisti – 30 agosto 2014

 
“E’ stato facile, molto facile”. Tirare un ace sul grugno della numero 2 WTA, trentunesimo colpo vincente di una giornata fantastica, non è stato un problema per Mirjana Lucic. Perchè le cose devono essere viste dalla giusta prospettiva, e lei ha capito da tempo che il tennis non è una questione di vita o di morte. Nel giorno più bello della sua vita (parole sue), le hanno nuovamente chiesto di riassumere la sua storia. Un cinismo che l’ha fatta piangere. “E’ una domanda difficile” ha risposto. “Lo sappiamo”, le hanno detto. “Desideravo raggiungere questi risultati, ho lavorato tanto, l’ho sperato in più occasioni ma non ci riuscivo mai”. Ma oggi, per fortuna, certe cose sono davvero il passato. Le ha raccontate per la prima volta nel 2006, come a liberarsi di un peso. Non immaginava, o forse si, che la sua immagine sarebbe stata segnata per sempre, come un tatuaggio o un’incisione. Ma stavolta può guardare dietro con sollievo, tanto da dire che “E' valsa la pena vivere ogni singolo momento di sofferenza”. Dopo 15 anni, la croata è nuovamente nella seconda settimana di uno Slam. L’ultima volta risaliva al 1999, quando era una minorenne. “All’epoca era tutto normale, mi aspettavo certi risultati – ha detto dopo il 7-6 6-2 con cui ha cancellato Simona Halep – mentre ora vivo ogni vittoria come un grande risultato. Ho 32 anni, ma mi sento come se ne avessi 15. Il mio corpo è in condizioni perfette, la testa risponde e ho grandi motivazioni”. Il sorriso è tornato quando ha detto che potrebbe raggiungere Kimiko Date e i suoi record di longevità. E pensare che si è presentata a Flushing Meadows senza particolari ambizioni. Numero 121 WTA, senza wild card, ha giocato le qualificazioni. E ha rischiato di perdere. Al primo turno, opposta all’americana (di origini croate) Bernarda Pera, si è trovata in svantaggio 4-2 nel terzo set. E anche al turno decisivo, contro la georgiana Sofia Shapatava, ha rimontato da 2-5 nell’ultimo parziale. Il destino agonistico le ha dato una mano, dopo che quello umano l’ha messa di fronte a prove terribili, disumane.
 
RISTRETTEZZE ECONOMICHE
Marinko Lucic è stato un buon atleta. Ha partecipato alle Olimpiadi nella specialità del Decathlon. Ma era un uomo violento. Un uomo che ha iniziato a picchiare la figlia Mirjana sin da quando aveva cinque anni. La picchiava sempre, senza pietà, dopo quasi ogni sconfitta. Senza far trapelare nulla del suo incubo familiare, lei è stata un baby fenomeno nella seconda metà degli anni 90. Professionista a 15 anni, ha vinto il primo titolo WTA cui ha preso parte (Bol 1997) ed ha raggiunto le semifinali a Wimbledon nel 1999, battendo Seles e Tauziat. Aveva già chiuso con il padre da un anno. Il click arrivò quando lui minacciò anche mamma Andelka: scapparono di casa, in piena notte. Aiutati da Goran Ivanisevic, si sono trasferiti in America ma hanno vissuto per anni nell’angoscia. Dall’altra parte dell’oceano, il padre minacciava "rapimenti e uccisioni”. La semifinale a Wimbledon sembrava una catarsi, una liberazione. Ma il peggio era dietro l’angolo. Marinko non poteva più prenderla a schiaffoni e scarpate (si, ha fatto anche quello…), allora – si dice – ha agito in modo più subdolo. La potente IMG, sua ex agenzia di management (che nel 1998 l’aveva scippata ad Advance International, l’attuale Octagon) le ha intentato una causa milionaria in cui l’accusava di gettare via il suo talento con uso e abuso di farmaci. Non lo sapremo mai, ma in tanti sostengono che dietro ci fosse il padre. Persona molto influente in Croazia, secondo Mirjana. E’ stata una dura battaglia. Una battaglia che l’ha ridotta sul lastrico, costringendola a smettere di giocare per quattro anni. “L’unica ragione per cui non ho giocato erano le ristrettezze economiche” ha detto la Lucic, ribadendolo anche a New York, dove domenica giocherà gli ottavi di finale contro Sara Errani. “Sono sempre stata motivata, giocavo con i miei fratelli e aspettavo il mio momento”. Quel momento è arrivato nel 2007, quando è ripartita a 25 anni di età. Zero aiuti, zero wild card. “Ho giocato tante qualificazioni nei peggiori tornei da 25.000 dollari – ricorda oggi – ma ce l’ho fatta, sono arrivata ugualmente”.
 
NIENTE PIU' TOPSPIN, SOLO BORDATE
Il matrimonio con Daniele Baroni, uomo d'affari di origine italiana, le ha dato la stabilità familiare tanto desiderata da piccola, così ha potuto concentrarsi di nuovo sul tennis. Nel 2010 è tornata tra le top-100 battendo Michaella Krajicek a Wimbledon, poi ha veleggiato nelle posizioni di immediato rincalzo. A suo dire, la colpa è degli infortuni. “La gente non sa quanto lavori duramente fino a che non ottieni un bel risultato. Stavo iniziando a giocare bene a Doha, poi mi si è bloccata la schiena. A Indian Wells ho avuto l’ernia al disco, mi faceva male il collo e creava problemi alla spalla. Poi non ho potuto giocare per una settimana prima di Wimbledon, e anche dopo sono stata ferma per tre settimane”. Adesso si fa seguire dal fratello e ha recentemente iniziato a lavorare con Julian Alonso, ex giocatore spagnolo famoso per aver avuto una liason con Martina Hingis. Aveva ottime potenzialità e tirava fortissimo, senza aspettare gli errori altrui. “Adesso sto tornando a fare il mio gioco – racconta la Lucic, finalmente con un sorriso – mi piace comandare, cercare il vincente, l’ace. Negli ultimi anni hanno provato a snaturarmi. Volevano che fossi più paziente e utilizzassi il topspin. Ma a me piace tirare”. Se ne è accorta Simona Halep, inpotente di fronte alla reazione di Mirjana dal 2-5 nel primo set. Sette punti consecutivi le hanno consentito il riaggancio, poi la rumena ha mostrato inedite paure, commettendo doppio fallo sul setpoint. Il secondo è stato uno spettacolo: la rumena correva da un angolo all’altro, sballottata come una sparring partner. E spesso Mirjana raccoglieva a rete la semina dei missili da fondocampo. Fino all’ace finale, quando l'incredulità si è trasformata in gioia sfrenata. Fino alla crisi di pianto quando le hanno fatto la fatidica domanda. Lei, da persona educata, si è addirittura scusata. Ma ben presto ha ripreso a sorridere. Non poteva certo rovinarsi il giorno più bello della sua vita.