Il tennista ceco ha vinto tutti e sette i tie-break disputati nel corso del Masters 1000 della Florida

Foto Paul Zimmer

Come spesso accade, le grandi genialate maturano in soggetti occupati in tutt’altra roba a sbarcare il lunario. Il tennis non fa eccezione, dovendo a un letterato  la più sottile delle sue illuminazioni. Nativo di Newport, Jimmy Van Alen è stato anche un longevo ufficiale di gara e in tale veste ha percorso in lungo quasi tutto il ‘900, trovando anche il tempo di arricchire lo sport della racchetta di quel particolare marchingegno che ancora oggi va sotto il nome di Tie Break. 

Dopo un inizio incerto, lo strumento ha preso il via agli US Open del ’70 e gonfiando il petto ha finito per imporsi nel pianeta tennis quale baluardo contro le lungaggini poco televisive del gioco a oltranza. Non solo! Quello che in abbrivio era considerato un epilogo condotto per mano dalla dea bendata, si è rivelato negli anni una fase del gioco che premia freddezza, coraggio e pensiero tattico, decretando, non di rado, il giocatore con più spiccato spirito agonistico.

Così, cavalcando una visione ormai plebiscitaria di quella che in abbrivio era vista come una diavoleria , calato il sipario sul Miami Open di questo 2025, sono andato a caccia di parole giuste, le più adeguate a definire la splendida prestazione di Jakub Mensik, fresco vincitore che, match su match, di tie-break ne ha portati a casa sette su sette. Un’impresa sublimata soprattutto dai due finali rifilati a un Novak Djokovic tutt’altro che appagato, il fuoriclasse conclamato che anche di tie-break deve saperne assai.

Sorprende, in questo ennesimo frutto della blasonata scuola ceca, la determinazione di ricorrere a cambi di ritmo e direzione ad alto rischio anche quando prudenza consiglierebbe qualcosa fuori dal thriller. Scelte audaci che, unite all’intenzionalità del servizio, fanno di lui un soggetto da prendere con le molle, soprattutto in fase di tie-break.

Non ci giurerei, ma chissà chissà che, calpestando i duri campi dell’imponente Hard Rock Stadium, il ceco di Prostejov non abbia benedetto per sette volte quel buontempone di Van Alen.