Qualche aneddoto sull'Australian Open ai tempi delle superiori. Dall'utilizzo improprio dei computer della scuola, allo streaming mancato di un secondo turno di 'quali'. E quella chiamata dal bagno al futuro… direttore.

Di Marco Caldara – 17 gennaio 2015

 
Lo spunto era invitante: raccontare qualche aneddoto su come vivevo l’Australian Open ai tempi della scuola, quando seguire gli incontri era quasi impossibile. Non i soliti ricordi stantii da nonno al pranzo della Comunione, con la tv in bianco e nero, ma una storia più recente: gli ultimi tre anni di liceo. Internet già c’era e gli smartphone più o meno, ma era comunque tutto più complicato.
 
2009 – I primi ricordi ‘scolastici’ dell’Australian Open risalgono a sei anni fa. Curavo un blog sul tennis maschile, con post quotidiani sui risultati degli azzurri. Durante Melbourne era difficile, al mattino ero a scuola, non potevo aggiornare il sito. A malincuore mi toccava attendere fino alle 13, ma quel giorno si giocava il primo turno delle qualificazioni. C’erano nove italiani al via. Diedi un’occhiata ai risultati col cellulare di un amico: vinsero in sei. Scriverne così tardi sarebbe stato un peccato mortale. Fortunatamente era mercoledì, che significava ora di matematica nel laboratorio d’informatica: 55 minuti davanti al pc. Grande occasione. Non fu semplice, dovevo tenere un occhio alla prof e l’altro alla porta dell’ufficio-strozzatoio del custode del laboratorio, simpaticamente soprannominato Adolf per le sue maniere poco british. Diceva di controllare in remoto, dal suo pc, che nessuno aprisse internet, ma erano solo le classiche minacce poco credibili. Quelle che in prima liceo spaventano, in seconda un po’ meno, dalla terza in poi fan solo ridere. Impiegai mezz’ora abbondante per quattro righe, ma riuscii a pubblicare i risultati senza grosse difficoltà. Il bello, però, doveva ancora venire. Non pago per avercela fatta il primo giorno, decisi che ci avrei provato anche il successivo. Ma senza ora d’informatica serviva un’idea. Eccola: intorno a mezzogiorno, quando gli incontri sarebbero sicuramente terminati, avrei chiesto di andare in bagno per scendere al piano di sotto, all’intoccabile computer dell’aula professori. Sarebbe stato difficile trovarci qualcuno all’ultima ora: i professori che hanno finito le lezioni, penso, non hanno motivo per rimanere. Arrivano le 12.10 del giovedì, decido di provarci. Funziona. Arrivo nell’aula professori ed è deserta, mi metto al pc. Chiunque passi dal corridoio non mi può vedere, devo solo sperare non entri nessuno. Ovviamente, il sogno dura poco. Neanche il tempo di aprire il blog e arriva la vicepreside, a recuperare non so cosa dal proprio armadietto. Vivendo con la sola compagnia del vecchio pesce rosso che faceva da guardia al suo ufficio (spesso mirino delle idee malate di qualche studente, ma sempre uscito indenne), era simpatica come un nastro vincente dell’avversario sull’8-8 40-40 al quinto set. Chiudo tutto e cerco di andarmene con nonchalance. Mi ferma. “E tu che ci facevi al pc?”. Era comprensiva una manciata di giorni all’anno, ma ci provai comunque. La scusa inventata di sana pianta non me la ricordo, ma fu uno di quei giorni. Vinsi io.
 
2010 – Mentre il compagno di banco palestrato mangiava a tutte le ore e beveva intrugli di ogni tipo per “tener attivo il metabolismo”, ogni giorno spremevo a suon di livescore l’iPhone della compagna della fila davanti, che pur senza mai dirmi di sì me lo concesse in comodato d’uso per tre settimane, dalle 8 alle 13. Lo prendevo carico al 100% e lo appoggiavo a un castello di libri costruito ad hoc, portandolo a zero in un paio d’ore. Lo ricaricavo nella terza, col filo celato nella cartella appoggiata alla spina della corrente, e tornavo all’attacco fra quarta e quinta. Ma quel venerdì la mia compagna non c’era, aveva l’esame pratico della patente. Felice per lei, visto che io ancora non mi ero mosso ad andare ad iscrivermi, meno per me stesso. Come l’avrei seguito l’Australian Open? Fortunatamente, dopo l’intervallo c’era il momento migliore della settimana: due ore di educazione fisica. Ma serviva comunque un’idea, e alla svelta. C’era la semifinale Murray-Cilic, dovevo trovare qualcuno in grado di darmi un aggiornamento via sms. Usare il cellulare durante una partita di calcetto (o pallavolo che sia) non era però la cosa più semplice del mondo. Dovevo giocarmi al meglio i cinque minuti negli spogliatoi, prima che il professore entrasse come al solito a lamentarsi perché noi ragazzi impiegavamo a cambiarci “più tempo delle donzelle”. Insomma, mi serviva una persona che stesse sicuramente seguendo il match, e potesse rispondermi nel giro di pochi minuti. Troppo pochi. Provai con un amico, nulla. Ma l’ispirazione arrivò: “chiamo Cazzaniga”, conosciuto qualche tempo prima al Challenger di Bergamo. Chi meglio di uno dei commentatori di Eurosport, che il torneo lo stavano seguendo giorno e notte da Milano, avrebbe potuto rispondermi? Dovevo solo sperare che non fosse proprio lui in cabina per la semifinale, altrimenti ciao ciao aggiornamento. Provo, squilla, mi risponde subito. “Ciao Lorenzo, mi puoi aggiornare per favore su Murray-Cilic?”“Ha vinto Murray”, sentenzia. “Grazie”. “Ciao”. “Ciao”. Non gli ho mai detto che l’ho chiamato dal bagno della palestra, ma potrebbe averlo immaginato.
 
2011 – Dal gennaio della quinta ci fu una terribile novità chiamata registro elettronico: un pc in tutte le classi, usato per inserire assenze in tempo reale, pubblicare i voti nell’area riservata, e altre splendide idee di cui in molti avremmo fatto volentieri a meno. Ma, si sa, non tutti i mali vengono per nuocere. O meglio, questo di problemi ne creò eccome, ma durante l’Australian Open riuscii a trovarne almeno un lato positivo. La presenza di un pc sulla cattedra permetteva, fra un’ora e l’altra, di andare a dare uno sguardo al livescore, ma non solo. Venne installata una rete wireless ben ricevibile ovunque, pure all’ultimo banco dell’aula più lontana del piano più alto: il mio. Il 3G da quelle parti prendeva un giorno sì e l’altro no, ma col wi-fi il sogno di poter seguire i match durante le lezioni poteva diventare realtà. Ma non per quelli del main draw, impossibili da vedere con l’iPhone a causa dell’assenza nei dispositivi Apple del classico Flash Player necessario per gli streaming tradizionali, bensì le sfide delle qualificazioni. Un evento! Per la prima volta gli incontri di un campo (a memoria direi lo Show Court 3) venivano trasmessi in streaming sul canale YouTube del torneo, quindi tranquillamente visibili pure con l’iPhone. Il solito, prestato. Solitamente su quel campo programmavano esclusivamente gli incontri dei giocatori di casa, ma un giorno qualche saggio decise per un’eccezione. E che eccezione: Alberto Brizzi contro Donald Young, secondo turno. Manna dal cielo. Mi mancava la chiave di rete della wi-fi, dettaglio tutt’altro che indifferente. La strada per averla era tortuosa, ma l’idea arrivò. L’aggancio per averla era proprio lui, il mitico professor Pinto, simpatico campano più largo che lungo, che spesso e volentieri si dimenticava di essere docente e strizzava l’occhio a ogni idea degli studenti. Un paio di parole di apprezzamento all’intervallo, una balla grande come una casa sull’utilizzo che ne avrei fatto, ed ecco la password. Ce l’ho. Provo tutto l’ora seguente, mi vedo qualche palla di Millman-Millot, funziona e si vede pure bene. Altro che i soliti streaming a scatti infarciti di banner pubblicitari. Brizzi-Young, in programma per il giorno seguente, mi attendeva. Già mi vedevo, mentre qualche professore spiegava argomenti diversamente interessanti, a tifare l’Hulk della Val Camonica, patria di polenta e formaggi, nel face to face con la grande promessa inespressa del tennis a stelle e strisce, con quell’aria da rapper da ghetto, cresciuto ad hamburger e french fries nei peggiori fast food di Chicago. Ma se tutte le altre volte mi era andata bene, questa volta mancò il lieto fine. Piovve praticamente tutto il giorno, non si giocò nemmeno un quindici, e nel programma del giorno successivo il match Brizzi-Young venne dirottato su un altro campo. Giocarono nella notte, senza telecamere, senza streaming, senza il mio tifo dall’ultimo banco della mitica 5°AL. L’azzurro perse nettamente, ma non poteva essere altrimenti.