AUSTRALIAN OPEN – Lettera per lettera, il meglio (e il peggio) del primo Slam stagionale. Tra allucinazioni e zombie, ce n'è per tutti i gusti. DI MASSIMO GARLANDO 
Frank Dancevic a terra dopo aver visto Snoopy

Di Massimo Garlando – 27 gennaio 2014


L'Australian Open è sempre stato il mio torneo preferito. Un po' perché apre la stagione, quando la voglia di tennis è tanta, dopo la dieta del mese di dicembre. Poi il sole australiano, quasi una catarsi per chi, come me, poco sopporta l'inverno. Infine, e soprattutto, la particolare tendenza alle sorprese che lo ha spesso caratterizzato: i finalisti totalmente inaspettati, piacevoli (Baghdatis e Tsonga) o diversamente piacevoli (Clement e Schuettler), oppure l'imprevedibilità di Safin, capace di perdere una finale da strafavorito con Johansson (chi non ricorda le safinettes al box?) salvo rifarsi qualche anno dopo, battendo Federer in semifinale, in quella che per me è ancora la più bella partita del XXI secolo. Poi, dopo la pazzesca cavalcata di Tsonga (2008), l'atto conclusivo del torneo è diventato affare esclusivo dei soliti fab four, esasperando proprio qui la tendenza all'omologazione che ha caratterizzato gli ultimi anni. Quest'anno la sopresona, sfiorata nel femminile con una Domi Cibulkova per una volta quasi immune dal suicidio tennistico, si è realizzata nel singolare maschile: Stan Wawrinka ha battuto il numero 1 e il numero 2 del mondo, interrompendo il regno triennale di Nole Djokovic e piazzando una mazzata mica da ridere a Nadal, che ha visto sfumare in un colpo solo l'aggancio a Sampras nel numero di major vinti e abortire immediatamente un progetto di Slam, mai come quest'anno apparentemente alla portata. Ma di questo hanno parlato e parleranno altri, qui ripercorriamo i quindici giorni australiani, tra personaggi, curiosità, aneddoti, verie ed eventuali.
 
A come ALLUCINAZIONI. "Ad un certo punto ho visto Snoopy e ho capito che c'era qualcosa che non andava". E' (per distacco) la frase del torneo, e ci sarebbe quasi da sorridere se di mezzo non ci fosse la salute. Già, perché è stato questo il modo originale con cui il canadese Dancevic ha provato a spiegare ciò che lo ha portato a collassare in campo per il caldo tremendo, in una delle prime, terribili giornate del torneo. Il pensiero non può non andare, immediato, alla partita di calcio tra scapoli e ammogliati di Fantozzi, cui appariva San Pietro sulla traversa della porta, ad indicare l'imminente fine del calvario.
 
B come BOUCHARD. La pin up canadese, sempre con nutrito gruppo di maschietti di rosso vestiti al seguito, sfrutta un tabellone generoso e piazza il primo acuto Slam, arrampicandosi fino ai quarti e regalandosi(ci) la sfida con Ana Ivanovic, delizia per esteti non necessariamente limitata al punto di vista tecnico. Vince, contro pronostico e in rimonta, andando poi a terminare la sua bella avventura contro Li Na, troppo solida e troppo "on fire" per il suo tennis ancora acerbo. Ma ha appena 19 anni, la ragazza si farà, eccome se si farà (e ha pure le spalle larghe).
 
C come CALDO. Tremendo inizio, con temperature superiori ai 40 gradi e conseguente gran numero di  ritiri, svenimenti e allucinazioni in campo. E interruzioni, con copertura del tetto ove e quando possibile, domandare per informazioni a Sharapova e Knapp. Interpellato in proposito, l'ineffabile medico dell'Australian Open Tim Wood ha tagliato corto, dicendo che sì, il caldo e tutto il resto, ma in definitiva l'uomo si è evoluto sugli altipiani dell'Africa, cacciando le antilopi in queste condizioni climatiche. Nei giorni successivi, come capita spesso nel particolare microclima di Melbourne, la temperatura è scesa di botto, dimostrando che a volte, dove non arriva il cervello della specie evoluta sugli altipiani, interviene la natura.
 
D come DIMITROV. Atteso da anni, è finalmente arrivato il primo acuto Slam del principino, che ha oltretutto resistito in tabellone un paio di giorni in più rispetto alla celeberrima fidanzata. Portati a casa gli scalpi di Raonic e del tosto Bautista Agut (che, eliminando Del Potro, si è conquistato per acclamazione l'ambito trofeo riservato alla sorpresona del torneo), si è presentato ai quarti come unico intruso, visto che gli altri sette avevano confermato la testa di serie nobile. Perdere con Nadal ci sta, ma perdere in quel modo, con un Rafa al 50% e con la possibilità concreta di andare avanti due set a uno (vanificata dallo stesso errore su palla piuttosto semplice, prima sul set point a favore e poi sul set point contro), sa tanto di Frecciarossa perso per due minuti, per ascoltare il complessino peruviano nell'atrio della stazione. E le lacrime del dopo partita ne sono testimoni. 
 
E come ERRANI-VINCI. Lo so, sarebbe stato meglio vederle tenere compagnia a Flavia Pennetta in singolare più a lungo, magari nella seconda settimana, come la loro classifica avrebbe imposto. Però bisogna complimentarsi con le Cichi’s, capaci di dimenticare l'inopinata (doppia) sconfitta al primo turno, per concentrarsi sul doppio e bissare il trionfo del 2013, con una memorabile rimonta nel terzo set su Makarova e Vesnina. Quarto Slam in carriera, non è che dalle nostre parti sia una cosa tanto consueta, evitiamo di fare troppo gli schizzinosi.
 
F come FOGNINI. Fa il suo con eccellente personalità, portando a casa le partite da vincere, con menzione speciale per la solidità dimostrata contro Querrey. La sua avventura termina con Djokovic, fino a quel momento favorito numero uno del torneo, con qualche atteggiamento sopra le righe (chi nasce tondo non può morir quadrato), ma tutto sommato in maniera accettabile. E', se non altro come classifica, il miglior prodotto italico degli ultimi 30 anni, non è obbligatorio che debba essere pure simpatico, quello che gli si chiede è di evitare le scenette mostrate lo scorso anno nei match con Stepanek e Przysiezny. In modo da convincere anche il più impietoso dei suoi detrattori.
 
G come GERMANIA. La nazione di Alexander Zverev detto Sasha, vincitore del torneo junior e professione predestinato. Finalmente d'ora in avanti, quando dirò che sono dieci anni che tifo Zverev, nessuno mi prenderà più per i fondelli.
 
H come HERBERT. All'inizio del 2014, memore di alcune incoraggianti prestazioni sul finire dell'anno scorso, ho scelto il giovane francese Pierugo come cavallino da seguire, per verificarne i miglioramenti e (eventualmente, auspicabilmente) l'ascesa. Ebbene, il nostro cioè il mio, ha iniziato l'anno a Brisbane, dove è stato battuto all'ultimo turno delle qualificazioni; in realtà ha poi finito con l'essere ripescato, per giunta direttamente al secondo turno (causa forfait improvviso di testa di serie nobile), perdendo un incontro assolutamente alla portata. Perchè i punti facili li schifiamo, noi. A Melbourne idem, accesso al turno decisivo del tabellone cadetto (tra le vittime anche Arnaboldi) dov'è stato fatto fuori in malo modo dallo sloveno Rola, lasciando traccia alquanto impercettibile del suo passaggio (me ne sono accorto giusto io, insieme ad altri tre o quattro pazzi, che seguono le qualificazioni quasi con maggiore interesse rispetto al tabellone principale). E' la fetida legge del "mai una gioia", che mi perseguita in molti campi ma soprattutto nel tennis. Spesso sono stato tentato di tifare (o, cambiando campo, di votare) personaggi impresentabili, iscrivermi al fan club, acquistare gadget imbarazzanti, pettinarmi come loro, ma ho rinunciato, perché mi sono convinto che no, in quel caso finirebbero per vincere. Così, giusto per farmi dispetto.
 
 

I come IVANOVIC. Si presenta a Melbourne senza sconfitte nel 2014 e batte Serena Williams, fino a quel momento imbattuta come lei ma alle prese con grossi problemi fisici (nascosti alla vigilia e riferiti dall'allenatore solo dopo il match, senza sminuire con una certa classe gli indubbi meriti della serba). Quando sembra avviata verso traguardi molto interessanti, si fa sorprendere dalla Bouchard, nella partita a maggiore tasso ormonale del torneo, dimostrando ancora una volta la sua inesorabile incompiutezza.
 
J come JANOWICZ. Prima di declassarlo a sciagurato dissipatore di talento, come il peggior Gulbis, ricordiamo che combatte da mesi con una frattura da stress al piede, che non ne agevola certamente il rendimento. Si può consolare pensando al gran numero di magliette rimaste integre in questo periodo.
 
K come SPECIAL KS. L'Australia al maschile è messa maluccio da anni, dovendosi affidare alle lune dell'attempato (ed incerottato) Hewitt e del sopravvalutato (e inesistente, appena supera l'equatore in direzione nord) Tomic. La leva tennistica delle classi '95 e '96, quest'ultima seguita con trepidazione anche alle nostre latitudini, offre nuove speranze agli appassionati down under, con sentiti ringraziamenti alla Grecia, culla della civiltà e, evidentemente, anche di cromosomi tennistici doc. Nick Kyrgios e Thanasi Kokkinakis, accomunati dal gioco spumeggiante e dalla propensione al vincente e differenti nel carattere (più guascone il grande, meno sopra le righe il piccolo), sono due carte interesanti, che i canguri possono giocare per tornare a livelli consoni alla tradizione. Intanto Pat Rafter non ha perso tempo e li ha convocati per la Davis (mentre Barazzutti ripesca Volandri e Starace, lodevolissimi ma un po' troppo over 30 per progetti a medio termine), poi si vedrà.
 
L come LUCKY LOSER. Come detto poc'anzi, vado matto per il magico mondo delle qualificazioni Slam, quel microcosmo popolato da giovani promesse, cariatidi in disarmo e personaggi che vivono sempre a un metro dalla gloria. Le seguo avidamente fin dal primo giorno, appassionandomi magari alle vicende del bosniaco Dzumhur, che fa fuori all'esordio la testa di serie numero uno (quel matto di Dustin Rastamanno Brown), entra nel tabellone principale e si spinge fino al terzo turno, con tanto di ruggini ex-jugoslave tra tifosi nel match contro Dodig. Ma le storie che preferisco sono quelle dei perdenti fortunati, sconfitti all'ultimo turno ma ripescati per forfait comunicati a tabellone già sorteggiato. Me li immagino accampati all'aeroporto, più o meno come il protagonista di The Terminal, con un occhio alla valigia e l'altro al display dello smartphone, in attesa di una chiamata che il più delle volte non arriva. Questa volta invece la dea bendata ha fatto gli straordinari e due fortunelli, il francese Robert e lo slovacco Klizan, si sono trovati contro in un match che valeva l'accesso agli ottavi, niente meno che l'onore della seconda settimana. Ha vinto Robert, che ha poi tolto anche un set a Murray e, se non altro, si è sistemato economicamente per tutto il primo semestre 2014.
 
M come FLORIAN MAYER. Per un set e mezzo prende a pallate Ferrer, deliziando gli occhi con un tennis d'attacco mirabile e ricami d'alta scuola poi, come spesso succede (soprattutto negli Slam), il match d'un tratto gira, l'attaccante cala e il difensore sale; risultato: lo spagnolo inizia a recuperare tutto, vince in volata il secondo set e lo schianta alla distanza. Caso visto e rivisto cento volte, perfetto paradigma del tennis moderno che tanto piace a Nadal e allo zio Toni, perché la gente vuole le sei ore e gli ottocento scambi a punto. Mi permetto di esprimere qualche timida perplessità in proposito, ma probabilmente sbaglio io, del resto i Modà e Moreno riermpiono gli stadi.
 
N come NA LI. La storia del tennis è piena di match point annullati da futuri vincitori di torneo, dagli undici di Panatta contro Warwick al Foro Italico nel '76 al nastro che rese imprendibile il passante di Becker a New York, con Derrick Rostagno già pronto ad esultare. Senza scomodare cotanta storia, anche la cinese supera indenne la sua sliding door al terzo turno, contro la mancina Lucie Safarova, quando si trova sotto 1-6 3-5 e annulla un match point sul 5-6. Di lì parte una cavalcata inarrestabile (devastanti i 5-0 in apertura, con i quali ha stroncato le ambizioni di Pennetta nei quarti e Bouchard in semifinale), che la porta, dopo due finali perse, a conquistare il suo primo Australian Open, secondo Slam in carriera. Tra vent'anni, quando la Cina (se non altro per ragioni di probabilità numeriche) dominerà il tennis, si narreranno le gesta della madre nobile di tutte le racchette del Dragone, antipersonaggio come poche e vincente come nessuno prima di lei.
 
N (bonus track) come NON SO / NON RICORDO. Notte fonda, quinto o sesto giorno di gioco, la stanchezza inizia a farsi sentire, ma le notti australi richiedono sacrifici. Il match è quello tra Roger Federer e Teymuraz Gabashvili, che al turno precedente aveva fatto fuori Verdasco. Ad un certo punto Ocleppo trattiene a stento le risate, e Ferrero spiega: l'arbitro ha richiamato Gabashvili, minacciando di sanzionarlo per coaching, evidentemente captando troppe voci provenienti dal suo box. E lui a ribattere, con l'aplomb del migliore Scajola, che non ha idea di chi siano quelli seduti al suo angolo, che lui è venuto da solo. Da notare che il presunto imbucato sarebbe Guillermo Canas, che Federer dovrebbe ricordare piuttosto bene.
 
O come gusto dell'ORRIDO. Medaglia di bronzo per la canotta di Redfoo, sfoggiata con insuperabile eleganza all'angolo di Vika Azarenka (pare che il nostro abbia intenzione di chiedere una WC per gli US Open. Auguri, al tennis naturalmente); secondo gradino del podio per l'ineguagliabile dritto a padella della Niculescu (mamma mia). Ma il trionfatore assoluto in questa classifica è Tomas Berdych, che ha portato con orgoglio, insieme a tutto l'angolo, un'inguardabile magliettina a righe biancoblu, che ai non più giovanissimi ha ricordato la divisa della gloriosa Spal. I designer di H&M devono avere assunto roba piuttosto pesante, recentemente.
 
P come PENNETTA. Brava Flavia! Ancora una volta tra le prime otto in uno Slam, ma per la prima volta assoluta in Australia, con tanto di vendetta sulla Kerber, che nel 2011 l'aveva fatta piangere a New York. Sta per tornare nelle top-20, si sta divertendo, e noi con lei.
 
Q come QUINTO SLAM. Pare che i cinesi, cui evidentemente non mancano mezzi economici e faccia tosta, stiano cercando di intavolare una trattativa seria per organizzare un quinto torneo dello Slam, da disputarsi tra febbraio e marzo. La voce circola da un po' e, prima del torneo, anche John Newcombe si è dimostrato più che possibilista. Certo, chissenefrega della tradizione, contano solo i soldi. Allora magari i Mondiali di calcio andiamo a giocarli in Qatar. Come dite? Sono i prossimi, dopo il Brasile e la Russia? Ah…
 
 

R come ROBREDO. Nella primavera del 2012 rientrava nel circuito, dopo una serie di infortuni, disputando il Challenger di Caltanissetta. L'anno scorso la sua avventura a Melbourne si chiudeva mestamente al primo turno, contro Levine. Sembrava finito, stremato dal peso dei chilometri più ancora che dall'età  (comunque non più verdissima). E invece, con gli ottavi qui e – allargando il raggio – con il quarto Slam di fila in cui raggiunge almeno il terzo turno, conferma di essere tornato, forse più forte di prima, prodigioso nei recuperi e molto più letale con la prima di servizio. Non molla mai, c'è sempre, per batterlo devi sovrastarlo, come ha fatto Wawrinka, e a volte non basta neanche. E' uno di quelli che speri di vedere il più lontano possibile, quando viene sorteggiato il tabellone. Narra la leggenda che una volta abbia recuperato due break all'avversario, quando questo aveva già terminato la conferenza stampa del dopo partita. 
 
S come SLOVACCHIA. In vent'anni di indipendenza, nessun rappresentante slovacco era riuscito nell'impresa di centrare una finale Slam. L'ultimo era stato il grande Gattone Mecir, sempre a Melbourne, nel 1989, ma ancora con il prefisso "ceco" a mitigare l'orgoglio di Bratislava. C'è riuscita in maniera travolgente la piccola Domi Cibulkova, che ha lasciato le briciole a tutte le sue avversarie (tranne che a Maria Sharapova, nell'incontro in cui è scampata al consueto psicodramma, cifra stilistica della sua carriera, quando, sotto di un set, si è fatta recuperare nel secondo da 5-0 a 5-4), ma nulla ha potuto in finale contro la solidità di Na Li.
 
T come TV. Squadra vincente, quella di Eurosport Italia, che ci ha tenuto compagnia per quindici giorni, con al timone i collaudatissimi Federico Ferrero (che ringrazio) e Jacopo Lo Monaco, nottambuli e mattutini a settimane alterne, come di consueto. Il fatto che questa squadra (insieme agli altrettanto bravi colleghi degli sport invernali), dal 1 febbraio rischi seriamente di non trasmettere più sulla piattaforma Sky, è l'ennesima dimostrazione del fallimento dell'obiettivo satellitare di combattere il calciocentrismo italico (se mai quest'obiettivo è stato perseguito realmente). 
 
U come UNDICI. I confronti Slam tra Nadal e Federer. Lo spagnolo ne ha vinti nove, se non è KO tecnico, poco ci manca, numeri un po' impietosi ma perfetti per stroncare sul nascere ogni discussione che pretenda di consegnare allo svizzero il titolo di migliore di sempre di tutto l'universo e non solo.Vien da pensare a quali traguardi avrebbe potuto raggiungere quel benedetto ragazzo maiorchino, se solo non fosse stato afflitto da continui malanni e vittima del complotto giudo-pluto-massone, ordito dalla potentissima lobby dei campi leggermente più veloci del solito. Ecco, una bordata per uno non fa male a nessuno. Così dovrei riuscire a raggiungere l'obiettivo di farmi insultare da entrambe le curve, magari è la volta che fanno pace. (NB: la lettera U è stata scritta prima della finale. Non è mia intenzione mettere in dubbio l'infortunio di Rafa in finale, chiaro e solare, la volontà era quella di ironizzare sulla sua – e dello staff – tendenza al piagnisteo preventivo, quasi che la sofferenza rappresenti un quid necessario e perfezioni le sue imprese).
 
V vome VOLEE. Tradito a Parigi dallo smash, questa volta Djokovic fa una magra figura con una volèe facile facile, dando ulteriore credito alla teoria secondo cui ogni volta che si avventura nei pressi della rete finisce per cascarci dentro come un tonno. Il dominio triennale di Nole a Melbourne finisce in questa maniera ingloriosa, curiosamente sotto gli occhi di Becker, che quel colpo non l'avrebbe sbagliato neanche con una benda sugli occhi e i sandali del pescatore caprese ai piedi. E così ci siamo fatti amici anche gli ultrà del serbo.
 
W come WAWRINKA. Il cataclisma, quando meno te lo aspetti. Ovvero come un buon comprimario, dotato di uno straordinario rovescio ma non particolarmente simpatico per atteggiamenti dentro e fuori dal campo e, per giunta, schiacciato dall'ombra di un connazionale collezionista di record, sia riuscito negli anni a diventare un tennista vero. Applausi e, da parte mia, etti di cenere sul capo, quando si commette un errore di valutazione bisogna avere l'onestà intellettuale di ammetterlo. Stan the Man è diventato grande, ha trovato al terzo tentativo l'antidoto per piegare Djokovic al quinto e, in semifinale, ha vinto con la testa un match equilibratissimo contro Berdych. Poi, al cospetto di Nadal e contro la spietata legge dei numeri (0-12 nei precedenti prima della finale, con un terrificante 0-26 nel computo dei set) ha compiuto il capolavoro, entrando in campo con personalità da campionissimo e superando le difficoltà psicologiche che attaccano la mente quando il tuo avversario è palesemente menomato da un infortunio. Il premio è il primo Slam, con balzo fino al numero 3 del mondo, strameritato. 
 
X come PAREGGIO. Nel tennis non c'è, lo sanno anche i sassi. E comunque (CG) io farei un'eccezione, per partite tipo quella tra Simon e Cilic (programmata non a caso sul finire di giornata; mi sbaglierò ma credo che, ad un certo punto, gli organizzatori abbiano lasciato direttamente le chiavi del circolo a uno dei due angoli): alla fine del quarto il giudice arbitro li chiama sotto il trespolo e "ok, ragazzi, titic e titoc, voi vi siete divertiti, noi no. Adesso basta però, a casa. E non fatevi più rivedere fino all'anno prossimo"
 
Y come YOUZHNY no (tabellone promettente e, al primo ostacolo serio, sconfitta al quinto set. Da protocollo), YOUNG (miracolato dai ritiri altrui e da Seppi) neanche. Puntavo molto sul tabellone femminile junior, con le cinesi YOU e YE; avevo già preparato – naturalmente senza averle mai viste giocare un quindici – una seria ed ampollosa esegesi dell'irresistibile ondata del movimento cinese, arrivando ad azzardare la discutibile profezia secondo cui, anche tra i maschietti, in pochi anni il Dragone spazzerà via la dittatura europea di inizio millennio. E invece niente, fuori entrambe al primo turno, porca miseria.
 
Z come ZOMBIE. Siamo noi, i malati d'Australia, la gente della notte, sempre le stesse facce, anno dopo anno, parafrasando Jovanotti. Quelli che esorcizzano il freddo di gennaio (neanche tanto, poi, quest'anno) con i 40 gradi di Melbourne e che magari tirano le 4 o le 5 con la tv sintonizzata su Eurosport bevendo Red Bull, giocando a ruzzle durante il cambio campo o pubblicando commenti su facebook. E poi, qualche ora dopo, si presentano in ufficio barcollando e imprecando in silenzio, perché la partita clou è ovviamente programmata nel serale, che in Italia vuol dire 9.30 di mattina. E' la magia del primo Slam, che almeno per quanto mi riguarda, non ha eguali in tutto il resto dell'anno.