L’australiano raggiunge la sua prima finale ATP all'81esimo torneo nel circuito maggiore. A fine 2016 era crollato alla posizione numero 695. Nella affascinante cornice del Rhode Island, affronterà all’atto conclusivo John Isner, testa di serie numero uno nonché due volte vincitore nel biennio 2011-2012.

Avvocato di successo un domani, finalista nella casa delle leggende per una notte. All’International Tennis Hall of Fame, Matthew Ebden continua a cullare, rigorosamente in punta di piedi, il sogno di una vita. L’australiano, infatti, grazie al successo in due comodi set su Peter Gojowczyk, è approdato per la prima volta in una finale ATP. Traguardo notevole, se non altro perché prima di questa settimana non era mai andato oltre i quarti in un evento del circuito maggiore. Se a Memphis si era parlato di ennesima chance mancata, contro il favorito John Isner non avrà nulla da perdere. Sprofondato fino alla posizione numero 695 del ranking per via di due anni travagliati, Matthew Ebden prosegue senza sosta la sua personale scalata verso il rientro tra i top 100: in soli 6 mesi e mezzo è riuscito a rosicchiare oltre 500 posizioni. Da lunedì, nella peggiore delle ipotesi, sarà numero 154 ATP.

DUE ANNI DA INCUBO
Non è mai troppo tardi finché non è finita. Le ultime due stagioni di Matthew Ebden non sono state affatto semplici ma ora, a seguito dell’acuto a Newport, certi sforzi possono considerarsi più che ripagati. Un lungo peregrinare tra Challenger e ATP, sino al dramma dell’incapacità di vincere una partita. L’australiano ha dovuto passare una fase terribile, almeno per chi pratica questo mestiere. Tanti dubbi, tante preoccupazioni sfociate nel ridondante pensiero di poter riprendere l’attività di studi abbandonata tempo fa, più precisamente in giurisprudenza, e che, a suo dire, riprenderà una volta terminata l'avventura nel mondo del tennis. Dalla semifinale challenger di Yokohoma del novembre 2015, ha messo insieme la bellezza di sette sconfitte consecutive. A peggiorare lo stato delle cose, un ginocchio ballerino a cui ha deciso di porre rimedio con un’operazione chirurgica che l’ha costretto ai box per ben sette mesi. Il rientro di Ebden, coinciso con il challenger di Kaohsiung dello scorso settembre, l’ha visto tornare al successo nell’incontro di esordio contro un modesto giocatore di Taipei, Kuan Yi Lee, salvo poi cedere il passo a Yuichi Sugita nel turno successivo. Quattro tornei prima dell’inizio del nuovo anno senza risultati di rilievo fino al quarto di finale nel Challenger di Burnie, ma soprattutto i quarti raggiunti a Memphis. Qualche altra partita Challenger disputata senza incantare fino ad arrivare alla stagione su erba: nessun match vinto nel tabellone principale di Surbiton, Ilkley e il nuovo torneo di Antalya. Uno score pessimo per chi in passato ha sempre dimostrato di sapersi adattare alla perfezione sui prati (il primo titolo Challenger di Ebden giunse a Nottingham nel 2013). Questa settimana, a Newport, è rinato dettando legge.

INCROCI ASTRALI
Alcune strade portano più ad un destino che ad una destinazione. Matthew Ebden, proveniente dalle qualificazioni, sarà il 61esimo finalista nella storia del torneo di Newport. Nel Rhode Island, ormai, non si stupiscono più per storie di questo tipo. Soltanto 8 anni fa, Rajeev Ram, ripescato in main draw dopo il walkover nel tabellone cadetto che l’avrebbe visto opposto a Ricardo Mello, vinceva il suo primo titolo ATP. All’epoca, a farne le spese, fu lo statunitense Sam Querrey in tre combattutissimi set. Oggi, Matthew Ebden, all’interno della stessa cornice che dal 1954 dà lustro alle più grandi leggende di questo sport, proverà a ripetere il risultato dell’erbivoro di origini indiane. Il destino, guarda caso, ha voluto che l’australiano, una volta superate le qualificazioni, affrontasse proprio Ram. Superato il primo ostacolo, ha eliminato in scioltezza anche il numero 6 del seeding, lo slovacco Lukas Lacko. Giunto ai quarti di finale, è riuscito finalmente a scrollarsi di dosso un pesante fardello: l’accesso in una semifinale ATP dopo cinque vani tentativi in 80 tornei disputati. L’australiano ha lottato sul campo per ben 2 ore e 41 minuti di gioco (decisamente il match più lungo del torneo, giunto alla 42esima edizione) prima di avere la meglio su Tobias Kamke e potersi finalmente andare ad un pianto liberatorio. Con meno tensione addosso, interpretando una partita a tratti perfetta, ha finalmente raggiunto la finale superando Peter Gojowczyk. Questa volta la celebrazione ha avuto tutt’altro sapore: linguaccia rivolta alla telecamera degna del miglior Michael Jordan o, per non scontentare gli appassionati di calcio, del tanto amato Alessandro Del Piero. Sarà riuscito Rajeev Ram a infondere tutta la magia necessaria per il completamento di un’altra storica impresa?