«IL PIÙ FORTE GIOCATORE DOPO LA QUARTA ORA DI GIOCO» DISSE DI LUI RINO TOMMASI. E SPESSO CI ARRIVAVA, COL SUO TENNIS DI REGOLARITÀ E INTELLIGENZA. NON ERA SPETTACOLARE, MA EFFICACE, LEALE E SINCERO. COME QUELLA VOLTA A PALERMO…

Avevo da poco iniziato una collaborazione con la Società Cerutti 1881 Sport e uno dei miei primi incarichi era di andare a fotografare Jimmy Connors. Era agosto e avevo preso un aereo da Roma per Bologna dove, insieme al fotografo Angelo Tonelli, saremmo andati a Cap D’Agde, dove si svolgeva una ricca esibizione. L’organizzatore era uno strano tipo, Renè Genestar, che originario di quelle zone nel sud della Francia, le allestiva nelle Plaza de Toros francesi, un surrogato di quelle spagnole dove le corride non finivano con la morte del toro, proibita da quelle parti. Prima però era in programma una tappa a Nizza che in quei giorni ospitava il Campionato Europeo under 14, 16 e 18 e un’occhiatina era doverosa. Arrivati a Nizza, ci infilammo subito al Club vicino l’aeroporto. Non era il solito, magnifico Parco Imperiale dove si svolgeva il torneo prima di Monte Carlo, ma un circolo squallido, con i campi in cemento, inusuali per la zona. Il Campionato europeo quell’anno era davvero eccezionale perché vedeva impegnati nella categoria under 14 Stefan Edberg e Steffi Graf, nella categoria under 16 Mats Wilander e in quella under 18 Henri Leconte. Qualcuno però mi aveva consigliato di andare a vedere proprio Wilander, che personalmente non conoscevo. Quel pomeriggio giocava la finale contro Hans Jurgen Schwaier, un tedesco piuttosto quotato. Mats non era un giocatore che ti impressionava dal principio, ma vidi in quella sua espressione un’intelligenza unica e una sicura dote per diventare un top player. Ricordo che guardai tutto il match che Wilander vinse con discreta facilità. Fin lì, niente di speciale. Tuttavia, quell’impressione mi spinse a telefonare subito a Peter Worth di IMG e manager di Borg, perché mandasse qualcuno a parlare con la famiglia per metterlo sotto contratto. Avevo iniziato anche la mia collaborazione con la IMG e la mia intuizione per il talento nascosto di Wilander mi fruttò parecchia considerazione nella capacità di individuare un giovane campione, al punto che Ian Todd (che è stato poi il mio capo), pretendeva che io mi concentrassi su questa attività. Per le società di management saper individuare il futuro campione quando è ancora un bambino non ha prezzo. Con qualche difficoltà riuscimmo a firmare il contratto con Mats e io subito gli offrii una wild card al torneo di Palermo dell’anno successivo. Ad essere onesti, non avrei mai immaginato che dopo due anni Mats avrebbe vinto Roland Garros battendo Guillermo Vilas in finale, ma come vi ho detto, avevo visto nei suoi occhi lo sguardo del campione. Mats non era un giocatore spettacolare, ma sapeva sempre fare la cosa giusta nel momento giusto, senza strafare, ma con la determinazione e la lucidità che serve quando sei sotto pressione. A tal proposito, ricordo la finale dello US Open 1988 quando ebbe la costanza di far giocare Lendl per oltre quattro ore in un metro di campo, senza fargli tirare mai il dritto. A quei tempi, Lendl sul cemento era quasi imbattibile, eppure Mats riuscì a farlo giocare male e vincere tre quarti di Slam.

L’unico che riusciva a mandarlo al manicomio era Gattone Mecir: a Roma, nel 1983, Mats era la stella su cui puntavamo per la rinascita degli Internazionali d’Italia e, quando nei quarti incontrò Mecir, ero molto tranquillo, tanto che rimasi al villaggio a intrattenere ospiti e sponsor. Mats perse 62 63. Imbestialito, vado negli spogliatoi per vedere cosa era successo e mi trovo davanti un Wilander sconsolato, ma anche in quella occasione lucido. Mi disse «Non puoi immaginare come gioca questo! Sembra lento e macchinoso e invece arriva sulla palla un quarto d’ora prima, ti guarda e mette la palla dove tu la puoi solo guardare. È un fenomeno credimi!». Per sua fortuna, Mecir ebbe molti problemi fisici e si ritirò presto, perché quando Mats lo incontrava perdeva prima di scendere in campo. Wilander è una persona squisita, leale e sincero e molto grato a chi nella vita gli ha dato qualcosa. Per esempio, proprio in quel magico 1988, aveva accettato di venire a Palermo perché mi aveva promesso che in cambio di quella wild card ricevuta all’inizio della sua carriera, sarebbe tornato da n.1 del mondo. Le cose andarono esattamente così perché vincendo lo US Open aveva scalzato Lendl dalla prima posizione mondiale. Io avevo una paura tremenda perché temevo che lo sforzo fatto lo consigliasse a rinunciare e dalla Sicilia telefonavo ogni momento al suo manager, Jean Noel Bioul, per assicurarmi che sarebbe venuto. In ogni caso, mi ero raccomandato di tenere lontano da Mats l’unico giocatore pericoloso non compreso nelle teste di serie, Marian Vajda (detto Gattino perché ricordava Gattone Mecir, capito?) che aveva vinto la settimana prima il torneo di Ginevra. Il Giudice Arbitro era Vincenzo Bottone, assistito da Vittorio Selmi: Wilander aveva un bye e poi… Vajda o un qualificato! Gli urlai che erano degli incapaci! Ancora più preoccupato, andai ad accogliere Wilander all’aeroporto. Li per lì, non mi sembrava il solito Mats: lo vedevo stanco e stressato. Era venuto a Palermo con un suo amico musicista: per due giorni l’ho sentito solo suonare, ma di allenarsi non se ne parlava. Immaginatevi come stavo. Fortunatamente Vajda perse da un tedeschino e Wilander vinse il torneo. Fu un trionfo, ma quanta pena. Forse anche inutile, perché Mats nella sua vita ha sempre saputo cosa fare sia nel bene sia nel male. E sempre in maniera leale e sincera.