Ex baby prodigio, Ryan Harrison si era perso in un carattere troppo aggressivo. Dall'anno scorso, tuttavia, ha cambiato marcia grazie al matrimonio e all'aiuto della federazione, che gli ha messo accanto Michael Russell. Il nuovo Harrison mischia ironia e autostima: “Ai miei avversari consiglierei di aspettare la mia esplosione di nervosismo, ma il mio servizio vale già i top-10”.

I fatti di New York potrebbero aver fatto bene a Ryan Harrison. Le accuse di razzismo di Donald Young, poi risultate prive di fondamento, potrebbero avergli tolto le pressioni con cui convive da una decina d'anni. Nel 2008 passò un turno al torneo ATP di Houston, diventando uno dei soli 10 giocatori a vincere un match nel circuito prima di compiere 16 anni. I sogni di gloria del giovane Ryan, tuttavia, si sono rapidamente trasformati in frustrazione e senso di fallimento. Il momento più difficile risale al 2014, quando ha rischiato di uscire addirittura dai top-200 ATP. Il suo problema è un carattere fumantino: Ryan si arrabbia facilmente, e altrettanto facilmente perde il controllo. Lui ne è consapevole e, con apprezzabile ironia, dice che consiglierebbe ai suoi avversari di rimanere calmi e pazienti in attesa della sua esplosione di rabbia. La consapevolezza è la prima base per migliorare: negli ultimi anni ha cercato di controllare le sue emozioni, ottenendo buoni risultati. Lo scorso anno ha vinto il suo primo titolo a Memphis, entrando tra i top-50 ATP. A luglio ha raggiunto la sua miglior classifica (n.40), senza dimenticare il successo in doppio al Roland Garros, insieme al neozelandese Michael Venus. Quest'anno è partito bene, raggiungendo la finale al torneo ATP di Brisbane prima di centrare il terzo turno all'Australian Open (dove ha perso da Marin Cilic). “Volevo dimostrare a tutti, me compreso, di non essere un fallimento. Ma quando hai una mentalità del genere, ogni match sembra una questione di vita o di morte. Ho dovuto cambiare approccio, ho accettato il fatto che il successo è quello che fai in ogni singolo giorno. Lavorare duro, competere nel miglior modo possibile, aggiungere tasselli al proprio piano di gioco. Quando lo fai è un giorno di successo, qualsiasi cosa accada”.

DOPPIO AIUTO
Non è stato facile, perché la filosofia si è scontrata con un istinto da tipico americano, vincente a tutti i costi, che vuole tutto e subito. Gli è capitato spesso di dire qualche parola di troppo, sia agli avversari che agli spettatori. Per migliorare su questo aspetto, si è fatto aiutare da una persona che era il suo opposto: Michael Russell era l'emblema della professionalità più spinta. Per questo, è riuscito a giocare con profitto fino a oltre 35 anni senza avere un particolare talento. “C'è una linea sottile tra l'infuocato e l'arrabbiato – dice Russell, parlando del temperamento di Harrison – quando l'ago oscilla di alcuni gradi nella direzione sbagliata, lui finisce nei guai”. Ad aiutare il processo di crescita, è arrivata la stabilità nella vita privata. Lo scorso aprile, Ryan ha sposato Lauren McHale, sorella della top-100 Christina, ex giocatrice presso l'Università del North Carolina. A questo, si è aggiunto l'aiuto della USTA. Un po' come accade in Italia con il progetto Over 18, la federazione americana ha capito che non ci si può limitare a seguire gli under, ma bisogna dare una mano anche ai professionisti. Martin Blackman, colui che si occupa dello sviluppo dei giocatori, ha detto che la nuova impostazione si basa sulle nuove esigenze del tour professionistico. “I migliori tennisti hanno a disposizione un head coach, un allenatore che viaggia con loro, un fisioterapista, un preparatore atletico. Per questo abbiamo deciso di fare qualcosa di più per i nostri ragazzi, i quali provavano a fare buone cose senza troppo sostegno”. Harrison è stato tra i primi beneficiari della nuova filosofia. C'è proprio la USTA dietro l'accordo con Russell, anche se i due si conoscono da molto tempo. Nel 2009 si affrontarono al Challenger di Yuba City, quando un giovanissimo Harrison mise in difficoltà il veterano Russell prima di arrendersi 7-5 al terzo. “Aveva lottato molto bene e la sua meccanica al servizio era eccezionale – ricorda Russell – sapevo che avrebbe sviluppato armi importanti”.

GRANDE AUTOSTIMA
Il tennis di Harrison si fonda su un gran dritto e una delle migliori seconde di servizio del tour. Tuttavia, potrebbe essere ancora più aggressivo. “Sono sempre favorevole a sviluppare maggiori possibilità di attacco. Il suo successo dimostra che può gestire molto bene il gioco di volo”. Di sicuro, il ragazzo nato nel Louisiana ma residente in Texas non ha problemi di autostima. “So di cosa sono capace: obiettivamente, il mio servizio è già tra i migliori 10, ho buone abilità difensive e ho la capacità di creare. Devo vincere più scambi lottati da fondocampo”. Le cose vanno bene, anche se ogni tanto emerge la natura di un carattere difficile. L'alterco con Donald Young ne è un buon esempio. “Deve restare così competitivo, però bisogna stare attenti a non far diventare negativo il suo spirito” dice Russell. Da parte sua, Ryan ha ormai messo alle spalle il peso delle aspettative deluse. “Non ero ancora pronto, però se a 15 anni mi aveste chiesto cosa sarebbe accaduto, avrei detto che ci sarebbero stati degli ostacoli da superare. Se avessi iniziato dopo, avrei dovuto affrontare più tardi certe problematiche”. Adesso è numero 60 ATP, senza particolari cambiali da difendere. Per questo, i prossimi tornei potrebbero dirci dove potrà arrivare questo ex bimbo prodigio che si era perso tra i fantasmi della sua aggressività. Magari già ad Acapulco, dove stanotte (intorno alle 00.30 italiane) sfiderà Diego Schwartzman, uno dei giocatori più in forma del momento. Un match tutto da seguire.