Mentre gli altri statunitensi brillavano negli Slam juniores, Jared Donaldson era concentrato nel percorso di crescita, transitato per oltre due anni anche dall'Argentina. Prima si è nascosto, ma è arrivato nel momento giusto: classifica alla mano è il migliore della Next Gen a stelle e strisce, e coi quarti di finale a Cincinnati salirà al numero 3 della Race to Milan.Nel mondo della racchetta il tempo va velocissimo. Sembra ieri che Rafael Nadal tornava finalmente padrone del suo Roland Garros, invece sono passati oltre due mesi, con in mezzo l’ottavo trionfo di Roger Federer a Wimbledon, e mancano appena una decina di giorni al via dello Us Open, ultimo torneo stagionale del Grande Slam. L’appuntamento di New York calerà il sipario sui primi tre quarti di stagione, schiarendo ulteriormente le idee in vista del Master di fine anno. Anzi, dei Master, visto che a novembre ci saranno anche le nuove Next Gen ATP Finals, pronte a portare a Milano i migliori otto under 21 del mondo. E se fra forfait e acciacchi la corsa a Londra è apertissima, lo è ancora di quella per l’evento di Rho. Il bello viene adesso: escluso Alexander Zverev, che ha oltre il quadruplo dei punti del secondo nella Race to Milan ma difficilmente ci sarà (causa presenza ormai quasi certa al torneo dell’O2 Arena), la classifica è cortissima, e lascia chance di qualificazione ad almeno una quindicina di giocatori. Fra questi ha appena fatto un importante passo avanti lo statunitense Jared Donaldson, che malgrado le attenzioni siano principalmente su altri sta vivendo un grande 2017, e da ultima ruota del carro (o quasi) è passato a leader della NextGen a stelle e strisce. Tanti altri si erano fatti conoscere già da under 18, arrivando in fondo nei tornei juniores del Grande Slam, mentre lui si è un po’ nascosto fino allo scorso anno, ma ha saputo emergere nel momento giusto. Nel 2017 ha già vinto 17 incontri nel Tour, battendo anche avversari di spessore, e in un colpo solo è balzato dall’ottavo al terzo posto della Race under 21, grazie ai 180 punti del prezioso quarto di finale centrato al Masters 1000 di Cincinnati, col successo per 6-4 7-6 su Nikoloz Basilashvili.
LA MALEDIZIONE (SVANITA) DEGLI OTTAVI
Un risultato che vale doppio, sia perché dei match col georgiano aveva un cattivo ricordo, avendoci perso sia nel 2015 sia nel 2016 al turno finale delle qualificazioni del Roland Garros, sia perché gli ha finalmente permesso di sfatare il tabù ottavi di finale. Nel Tour maggiore li aveva giocati ben tredici volte e aveva sempre perso, l’ultima la scorsa settimana a Montreal, dove malgrado un vantaggio di 6-0 2-0 contro Diego Schwartzman si era arreso per 0-6 7-5 7-5. Rimossa quella sconfitta, Donaldson è ripartito fortissimo a Cincinnati, conquistando al primo turno la miglior vittoria in carriera grazie al 7-6 6-3 con cui si è sbarazzato di Roberto Bautista-Agut, e poi ha approfittato del buco in tabellone battendo anche il lucky loser Ramanathan e Basilashvili, andando a prendersi il primo quarto di finale a livello ATP. La storia particolare del 20enne del Rhode Island, transitata in Argentina per due anni e mezzo fondamentali per la sua formazione tecnica e atletica, ve l’avevamo raccontata durante lo scorso Us Open, quando dalle qualificazioni si arrampicò fino al terzo turno, battendo Goffin e Troicki. A quasi un anno di distanza è cambiata la guida, rimasta di altissimo livello visto che a succedere a Taylor Dent sono arrivati Mardy Fish e Jan-Michael Gambill (segno che c’è anche una discreta voglia di investire, e non fa mai male), mentre le ambizioni sono rimaste intatte. Parlava di top-ten allora e lo ripete oggi, con in tasca la certezza di arrivare almeno al numero 51 del ranking ATP, e nel cassetto il sogno di un grande Us Open.
IL SERVIZIO E L’ESEMPIO DI ISNER
Alla base della sua crescita, dice lui, c’è il servizio, proprio uno degli aspetti sui quali aveva lavorato molto – al rientro dall’Argentina – sotto le direttive di Taylor Dent, uno che di battuta se ne intende(va). “Sto rispondendo sempre meglio – ha spiegato Donaldson al Western & Southern Open –, e mi difendo meglio rispetto a un tempo, ma nel mio gioco tutto parte dal servizio. Mi accorgo che nella maggioranza dei miei incontri il mio rendimento generale segue quello del servizio. Più è alta la percentuale di prime palle messe in campo, e più le cose funzionano bene”. Un discorso che vale per la gran parte dei giocatori, ma nel suo caso si fa interessante dando una sbirciata alle statistiche dell’ATP, che prendono in analisi tutti i giocatori che hanno disputato almeno venticinque incontri nel Tour nel corso della stagione. Fra gli 81 che soddisfano il criterio, lo statunitense è solamente al 79esimo posto, con una media di 51,7%, davanti ai soli Jan-Lennard Struff e Benoit Paire (entrambi a 51,6). Visto che a livello di rendimento è invece fra i primi trenta, col 73,8% di punti vinti con la prima palla, significa che non appena riuscirà ad alzare la percentuale di prime il suo rendimento in campo subirà un netto passo avanti, magari quello decisivo per permettergli di raggiungere i suoi obiettivi. Lui lo sa, e non ha paura a esporsi. “Penso che se riuscirò a migliorare, arrivando al 60% (ce la fanno in 43, ndr), battermi diventerà sempre più difficile”. In questo senso, avrà un bell’esempio da seguire nei quarti di finale, sul Centrale contro John Isner. Il connazionale è l’unico giocatore del circuito a mettere in campo il 70% di prime…