La russa non potrà usufruire dello “sconto” riservato a molti atleti perché la concentrazione di Meldonium nel suo corpo era superiore al limite consentito. Proverà a battere sulla funzione terapeutica, ma non dovrebbe sfuggire a una sanzione.

Si è svolta mercoledì 18 maggio, a Londra, l’udienza di Maria Sharapova con il Tribunale che dovrà giudicare la sua positività al Meldonium, uno dei casi di doping più clamorosi nella storia dello sport. Masha è risultata positiva il 26 gennaio e ha dato la notizia in prima persona lo scorso 7 marzo in un’apposita conferenza stampa a Los Angeles. Il Meldonium è stato bandito il 1 gennaio 2016 ed è diventato uno spauracchio per centinaia di atleti: nei primi quattro mesi dell’anno ci sono stati ben 288 casi. Nel mese di aprile, la WADA ha dovuto fare un’imbarazzante retromarcia perché non esiste certezza scientifica sui tempi che il corpo richiede per espellere definitivamente il farmaco. Inizialmente si pensava che potesse essere eliminato in pochi giorni, ma poi è emerso che potrebbero essere necessarie settimane, se non mesi. Per questo è stato deciso che tutti i test svolti entro il 1 marzo, e sotto una certa soglia di Meldonium, non sono più da ritenersi positivi. E’ quanto accaduto al doppista bielorusso Sergey Betov. Non è però il caso della Sharapova, che ha sempre ammesso di aver preso la sostanza anche nel 2016. Come se non bastasse, il Ministro dello Sport russo, Vitaly Mutko, ha detto che la concentrazione di Meldonium nell’organismo dela Sharapova era superiore al limite consentito. La linea difensiva della russa, dunque, andrà in un’altra direzione. Il Meldonium dovrebbe essere considerato un farmaco lecito per uso terapeutico, anche in forma retroattiva. Sembra difficile che la linea venga accettata, anche perché ogni esenzione a usa terapeutico va comunicata in anticipo ed è verificata in modo indipendente. La sanzione massima potrebbe essere di 4 anni, ma secondo molti dovrebbe oscillare tra i 6 e i 12 mesi.