Mentre il Presidente CONI rinuncia alla sua indennità (90.000 euro annui), lo statuto FIT conferisce uno stipendio al Presidente e altri dirigenti. Affrontiamo la questione senza demagogie. 
Angelo Binaghi con l’ex presidente CONI Gianni Petrucci
(Foto Costantini – FIT)


Di Riccardo Bisti – 2 aprile 2013

 
Sta facendo discutere l'intervista rilasciata da Giovanni Malagò, neo-presidente del CONI, al Corriere della Sera. Quando gli hanno chiesto cosa farà nell'immediato, ha detto: "Mi sembra giusto rinunciare alla mia indennità di presidente del CONI". Si tratta di uno stipendio che consiste in circa 90.000 euro l'anno. Malagò non vi potrà rinunciare a causa di alcuni vincoli, ma lo girerà ad associazioni sportive e società impegnate nel sociale. "La prima a beneficiarne sarà quella di Maddaloni a Scampia". Per spiegare la scelta, ha detto: "La questione è molto più semplice: i presidenti federali non ricevono alcuna indennità, se non un gettone per i loro consigli e le loro riunioni operative, e lavorano a tempo pieno in condizioni difficili. Sarebbe un'ipocrisia se io, in quanto presidente del CONI, dovessi invece prendere uno stipendio". Evidentemente, Malagò non è al corrente della situazione in seno alla Federazione Italiana Tennis. Qualche anno fa, infatti, un'aggiunta allo Statuto ha conferito al presidente e ad "altri componenti di organi direttivi" un'indennità che va ad aggiungersi ai tradizionali rimborsi spese. L'articolo 52, comma 7, della "Costituzione" del tennis italiano recita: "L'assunzione di cariche elettive è a titolo onorifico e gratuito, salvi i rimborsi spese, determinati secondo modalità specificate nel Regolamento di amministrazione e contabilità della F.I.T.". Fin qui, si rientra nei parametri menzionati da Malagò. Tuttavia, in uno dei diversi cambi statuto effettuati negli ultimi anni, all'articolo 52 è stato aggiunto un comma 8. Eccolo: "Al Presidente federale e ad altri componenti di organi direttivi nazionali, investiti di particolari cariche, che saranno individuati dal Consiglio federale, spettano, inoltre, indennità determinate dal Consiglio federale stesso, in conformità dei criteri e dei parametri stabiliti dalla Giunta nazionale del C.O.N.I.". Significa che Angelo Binaghi riceve uno stipendio per svolgere l'attività di presidente FIT, e come lui altri membri di organi direttivi (Quali cariche? Chi sono i dirigenti?).
 
In tempi di spending review e grande attenzione su questi argomenti, anche in ambiti ben più delicati dello sport, è molto facile cadere in demagogia. Se il presidente CONI rinuncia allo stipendio e il presidente FIT ne può usufruire in virtù di una modifica allo statuto, è facile farsi un'idea positiva sul primo e meno positiva sul secondo. Ovviamente, la questione è più complessa. Malagò ha fatto benissimo a rinunciare alla sua indennità, anche perchè probabilmente non ne ha bisogno. Tuttavia – lo sosteniamo da anni – è giusto e sacrosanto che un presidente federale percepisca uno stipendio. Lo stesso Malagò ha riconosciuto che i presidenti federali lavorano "a tempo pieno e in condizioni difficili". Non c'è dubbio che Angelo Binaghi dedichi moltissimo tempo alla FIT (nei giorni scorsi è stato avvistato in tribuna a Miami durante Vinci-Jankovic) e trascorra buona parte del suo tempo a Roma anzichè nella natia Cagliari. Al di là delle valutazioni sull'operato, un impegno del genere deve essere retribuito. Per intenderci, la sua è una presidenza molto diversa da quella di Paolo Galgani. L'avvocato fiorentino gestiva la federtennis al 75% dal suo studio di Firenze. "Avevo due segretarie e il rimborso per la linea telefonica – ci ha raccontato in un'intervista di qualche mese fa – per questo, durante la mia presidenza, ho 'regalato' 40 milioni all'anno alla FIT. Ovviamente me lo potevo permettere: guadagnavo bene come avvocato e stavo bene di famiglia. Credo che l'attuale norma sia giusta perchè non tutti i presidenti federali possono avere un introito. Io ce l'avevo e per questo rifiutai". L'allusione è un episodio di un ventina d'anni fa, quando Galgani rifiutò un'indennità di 60 milioni annui.
 
Nell'ottica di una trasparenza sempre maggiore, sarebbe opportuno che i tesserati venissero informati sull'entità degli stipendi percepiti da Binaghi, così come per gli altri dirigenti che ne beneficiano. Il discorso, ovviamente, è esteso ai vari rimborsi spese, tanto sacrosanti quanto…variabili. Pare che da qualche tempo (ancor prima dell'avvento di Malagò) il CONI sia molto attento a questo aspetto, verificando che non ci siano voli in first class piuttosto che conti troppo salati al ristorante. La FIT ha intrapreso un apprezzabile percorso di trasparenza e per questo sarebbe giusto pubblicare i bilanci dettagliati, con ogni singola voce di spesa e ricavo. Seguendo una direttiva CONI, la FIT ha iniziato a pubblicarli anche se si tratta di sintesi non sempre esaustive. La postilla che ha conferito le indennità al presidente e agli altri dirigenti è stata fatta – ovviamente – nel rispetto dei parametri e dei criteri stabiliti dal CONI. Non è dato sapere se un CONI presieduto da Giovanni Malagò l'avrebbe approvata, ma siamo convinti (norme a parte) che un presidente debba ricevere uno stipendio. In altre parole, se il nuovo CONI dovesse togliere le indennità ai presidenti federali (quelli che le percepiscono) non sarebbe giusto. Allo stesso tempo, è necessaria la totale trasparenza. D’altra parte, in Gran Bretagna è scoppiato un pandemonio quando sono stati resi pubblici i guadagni di Roger Draper, presidente LTA (dimissionario a settembre), che nel 2012 ha intascato la bellezza di 640.000 sterline, il quadruplo del Primo Ministro David Cameron. Come Draper si è esposto a critiche e commenti, sarebbe opportuno che fosse altrettanto anche per Binaghi e gli altri dirigenti.
 
SOLDI PUBBLICI?
L’occasione è propizia per chiarire un malinteso. Spesso si dice che la FIT (così come le altre federazioni sportive) gestisce “soldi pubblici”. L’affermazione non è sostanzialmente corretta. Per l’esattezza, è corretta…al 18%. E’ questa, infatti, la percentuale di contributi pubblici (principalmente ottenuti tramite il CONI) sul totale dei ricavi generati dalla FIT nel 2011 (anno dell’ultimo bilancio disponibile). Dei 34.492.322 euro messi a fatturato nel 2011, 6.230.511 provenivano da fonti pubbliche. Questo significa che per ogni cinque euro spesi dalla FIT, soltanto uno è definibile come “denaro pubblico”. L’82% dello stipendio di Binaghi, così come gli altri investimenti effettuati dalla FIT, provengono da entrate di natura privata. E la stessa FIT ha natura giuridica di ente privato. E’ corretto segnalarlo, così come sarebbe opportuno che i bilanci fossero ancora più dettagliati. I tesserati, ad esempio, hanno il diritto di sapere in che modo sono distribuiti i 5.240.677 euro destinati all’autoamministrazione (in questa voce rientrano gli stipendi di dilettanti e professionisti), così come i 4.214.806 destinati all’attività di élite e i 595.365 riservati ai contributi per l’attività sportiva. Oltre a tutte le altre voci di spese e ricavi.