Di Riccardo Bisti – 29 aprile 2014
Trovare quella scritta era il terrore dopo ogni acquisto. “Made in Hong Kong” era spesso sinonimo di scarsa qualità, o magari di lavoratori sfruttati. Oggi è cambiato tutto. Oggi sono loro ad acquistare dagli altri paesi. E' così anche nel tennis. Non ci credete? Bastava fare un salto presso il Gelora Bung Karno Tennis Stadium di Jakarta, Indonesia. Lo scorso weekend si è giocato un drammatico spareggio per restare nel Gruppo II di Coppa Davis, l’equivalente della Serie C. In campo i padroni di casa e l’Hong Kong degli oriundi. A parte il giovanissimo Jack Wong (15 anni), unico purosangue, il team era composto da un americano, un bulgaro e uno spagnolo. Senza un solo hongkonghese (si dice così, fidatevi) nel ranking ATP, si sono affidati a un gruppo di giocatori che lavorano per la federazione nel ruolo di coach. Il più noto è Phillip King. Definirlo “famoso” è un po’ troppo, ma alcuni talent scout lo ricorderanno sul finire degli anni 90, quando vinse i campionati americani junior, buoni per ottenere una wild card allo Us Open (perse da Richard Krajicek). “Sapete cosa mi ha fatto soffrire di più? Vedere giocatori come Mardy Fish e Robby Ginepri sfondare nel circuito ATP. Quando ero giovane, li battevo” sospira King, che oggi non ha trovato un modo migliore per far fruttare le due lauree conseguite alla Duke University. Un ragazzo dall’intelligenza superiore alla media, dottore in informatica e in scienze politiche. Una scelta ammirevole che però gli è costata la carriera da tennista. E ancora oggi gli lascia quel maledetto dubbio: dove sarebbe arrivato se si fosse dedicato alla racchetta e non ai libri? I numeri, impietosi, dicono che non è mai andato oltre il numero 286 ATP. Vanta qualche vittoria a livello future, un paio di semifinali challenger e una sola partita vinta nel circuito ATP. Era il 2006, a Washington (lo stesso torneo dove Andrea Stoppini battè Andre Agassi): superò Bobby Reynolds prima di impegnare Tim Henman per tre set.
CAVIA DI FAMIGLIA
King è nato a Taipei, altro mini-stato accanto alla Grande Madre Cina, ma era un neonato quando i genitori si sono spostati in California per dare forma al sogno americano. Erano gli anni dell'edonismo reaganiano: se un attore era diventato presidente degli Stati Uniti, perchè una famiglia di asiatici non avrebbe potuto fare fortuna a Long Beach? E’ andata benino: Phillip non è diventato un campione, ma ha potuto studiare. “Però sono stato la cavia della famiglia”. La sorella Vania, infatti, è diventata un’ottima professionista, top-50 in singolare è ottima doppista, tanto da vincere Wimbledon in coppia con Yaroslava Shvedova. “Il tennis non mi ha aspettato. Io ho trascorso quattro anni all’Università. Non direi che sono anni persi, ma è difficile riprendere quando trovi ad affrontare ragazzi che hanno fatto cose totalmente diverse dalle tue. E non sono stato nemmeno aiutato dalla USTA quando sono passato professionista”. La sua chiave di lettura, tuttavia, è lucida e attenta. Tra i top-100 ci sono pochissimi giocatori laureati. Una percentuale infima. “E qualsiasi azienda non metterebbe a rischio i propri capitali per una probabilità di riuscita così bassa”. Quando ha cercato di riprendere, a 25 anni, ha chiesto aiuto a Eliot Teltscher, ottimo giocatore degli anni 80 che lo aveva già seguito da junior: “Ci vorranno 10-15 anni per capire se ha fatto la scelta giusta. Magari diventerà il presidente della Motorola….di sicuro non giocherà i tornei da 10.000 dollari a 30 anni”. Non è andata proprio così, nel senso che nel 2012 ha giocato un paio di eventi futures nella sua nuova patria. Ma lo ha fatto per divertirsi. King ha scelto di giocare per Hong Kong, vicino di casa del suo paese natale. Fa il coach, il capitano di Fed Cup…e il giocatore. A Jakarta ha fatto il possibile, battendo David Agung Susanto (n. 1312 ATP), ma ha perso il doppio in coppia con Ognian Kolev e ha ceduto in cinque set a Christopher Rungkat. A 32 anni, la doppia laurea non gli ha fruttato nulla di meglio che un lavoro con la federtennis di Hong Kong.
LA NUOVA BANDIERA DI DAVID
King può camuffare la realtà con gli occhi a mandorla, ma non si può dire lo stesso per il 25enne spagnolo David Català-Verdasco. C’era anche lui a Jakarta, ma non ha fatto in tempo ad esordire. Nato 25 anni fa a Tarragona, può rappresentare Hong Kong perchè ha appena ottenuto i requisiti richiesti dall’ITF: vivere almeno due anni nel nuovo paese e chiedere l’eleggibilità all’ITF. Català non ha mai avuto una classifica ATP.