David Ferrer continua a vincere. Per nulla pago dopo Bercy, ha superato Del Potro. Non si stanca mai, grazie alla passione per la corsa e a 90 km al giorno di bici…
Il sorriso di David Ferrer. Ad applaudirlo, commossa, c’è anche mamma Pilar
 
Di Riccardo Bisti – 7 novembre 2012

 
Se David Ferrer non avesse modi gentili e delicati, sarebbe considerato l’erede di Thomas Muster. Negli anni 90, quando vinceva tutto sulla terra battuta, l’austriaco aveva soprannomi come “bestia”, “animale”, “macchina” e amenità varie. Oggi lo spagnolo è il coniglietto duracell, road runner o la “piccola bestia”. Difficilmente vincerà un torneo del Grande Slam né diventerà numero 1 ATP (Muster ce la fece), ma chi si assume il rischio di dire che Thomas è stato più forte? L’austriaco vinceva solo sulla terra, con qualche ragguardevole exploit sul cemento, mentre lo spagnolo è forte dappertutto. Lo sta dimostrando in un autunno magico, in cui ha vinto 11 partite consecutive. Prima il torneo casalingo di Valencia, poi il Masters 1000 di Bercy e adesso una vittoria fondamentale alle ATP World Tour Finals. Una vittoria-duracell, in cui ha superato 6-3 3-6 6-4 Juan Martin Del Potro. A seguirlo a bordo campo non c’era soltanto il coach-papà Javier Piles, ma anche i genitori, in una delle loro rarissime apparizioni. Dopo il matchpoint ha mandato un bacio al suo box. Era il bacio di un ragazzo d’oro, dalla volontà di ferro e i muscoli d’acciaio. “Ma si, chiamatemi pure ‘Piccola Bestia’. Meglio questo rispetto ad appellativi come ‘Guerriero’ o ‘Gladiatore’. Non rispecchiano il mio modo di essere. Mi piace ‘Ferru’, perché mixa il mio cognome con il ferro. Significa che sono resistente”. Altrochè. Se c’era un match dove poteva essere stanco, o forse appagato, era proprio quello contro l’argentino. 48 ore prima aveva vinto il titolo più importante in carriera, e non aveva avuto molto tempo per adattarsi alle nuove condizioni (anche se la superficie di Londra è identica a quella di Bercy). Niente, è partito con la bava alla bocca anche stavolta. Dopo un po’ di lotta iniziale, ha preso il largo ed ha chiuso il primo set senza grossi problemi. Aveva battuto Del Potro 5 volte su 7, sapeva come giocarci contro. Evitando il dritto, per esempio. Poi – incredibile! – è arrivato un lieve calo fisico in avvio di secondo set. Sull’1-1 sciupava quattro palle break (alla fine ne trasformerà 3 su 12: dato migliorabile) e si faceva sorprendere da Palito, che si issava faticosamente sul 5-2. Sul 5-3 aveva una palla break per riaprire il parziale, ma Del Potro riusciva a chiudere.
 
A quel punto pensi che anche il serbatoio di Ferru sia andato in riserva. E invece è proprio lui a scattare meglio da blocchi. Sale 4-1, obbliga Del Potro a uno sforzo madornale per riportarsi sul 4-4. Come un esattore delle tasse, Ferrer è passato alla cassa è si è preso gli ultimi otto punti. A fine partita ha mandato un bacio alla commossa mamma Pilar, maestra di scuola elementare. Una donna dagli occhi buoni, come tutte le maestre elementari. Tutti ricordano con affetto la prima maestra, figurarsi se ce l’hai come madre. E David, cocco di mamma, appena può torna nella sua Javea e carica su Twitter semplici foto di quotidianità, come un ragazzo qualsiasi. Le guardi e non diresti mai che sul campo da tennis diventa un guerriero (ops…) capace di salire al numero 5 ATP con discrete chance di chiudere l’anno in quarta posizione, approfittando dell'assenza di Rafa Nadal. Con Rafa fermo ai box, ha preso in mano la Spagna di Coppa Davis, conducendola alla vittoria contro Austria e Stati Uniti. E buona parte delle speranze di vincere in Repubblica Ceca passeranno dal suo racchettone Prince, da cui escono traiettorie proletarie ma gagliarde. Non gli vedremo mai tirare i rovescini slice di Federer e nemmeno le bastonate dei grandi battitori. Ma state certi che produrrà palle arrotate, profonde e potenti. Un tennis frutto di una passione feroce per il tennis, unita a una voglia di lavorare quasi esagerata. Forse ha paura di tornare a fare il muratore, come gli capitò a 18 anni, quando mandò al diavolo il tennis perché non aveva voglia di allenarsi (risale a quel periodo l’episodio di coach Piles che lo ha chiuso in uno sgabuzzino a pane e acqua, su cui è stata fatta ampia letteratura tennistica. Ma successe solo una volta). Allora non stupitevi se lo vedete correre all’impazzata tra un allenamento e l’altro, seguito come un’ombra da Piles, appassionato corridore dalla notte dei tempi.
 
Ma con l’età arriva la saggezza, e Ferru ha capito come gestire un fisico da Superman della porta accanto. Anche se è in grado di correre 10 chilometri in 36 minuti (tempi quasi da maratoneta!), si limita a fare jogging fuori stagione, magari mentre i suoi colleghi sono in vacanza oppure addentano un panettone. E se non c’è tempo per correre, via con 90 km giornalieri di bicicletta. Tutto normale, per uno come lui. La maniacalità di Ferrer si vede anche negli allenamenti, quando dedica gli ultimi 5-10 minuti a giocare con la mano sinistra. A suo dire, lo aiuta nel mantenere il naturale bilanciamento ed evita un'esagerata asimmetira del corpo. Ciò che impressiona è la sua totale tranquillità, quasi indifferenza, alla mancanza di attenzione. Come se gli facesse piacere. Quando lo abbiamo intervistato abbiamo provato a provocarlo: “Non ti sembra che i media sottovalutino i tuoi risultati?” “Macchè – ci ha risposto – mi sono sempre sentito trattato bene”. E pazienza se a Parigi è stato costretto a ricordare di non aver mai conosciuto il medico Luis Garcia Del Moral, l’untore di Lance Armstrong, che qualcuno aveva accostato all’Accademia TenisVal e – di rimando – anche a David. “Se fosse tra noi non lo riconoscerei”. L’umiltà di Ferrer è spaventosa, quasi esagerata: “Sono fortunato ad essere numero 5 del mondo, non posso lamentarmi. Ho fatto tanti sacrifici per arrivare dove sono e non voglio usare il mio successo per avere un trattamento di riguardo. Vengo da una famiglia umile e continuo a vivere così, non voglio andare via di testa”. Nemmeno se lo portano alla O2 Arena con il battello, gli lasciano uno spogliatoi tutto per lui e gli fanno trovare gli asciugamani personalizzati. Perché è lo stesso ragazzo che una decina d’anni fa, nell’hotel ufficiale di Umago, finì in una camera senza televisore. “Non sono uno che si lamenta – dice con un sorriso che fa impazzire le suocere – non ho detto nulla e ho passato una settimana senza TV, a leggere un buon libro”.