Anche il circuito ATP ha avuto un caso di omosessualità dichiarata: il paraguaiano Francisco Rodriguez (ex n. 373) ha fatto “outing”. Ma quanti faranno come lui?
Francisco Rodriguez ha giocato 25 partite in Coppa Davis
Di Riccardo Bisti – 30 dicembre 2012
“Mi manca la competizione, ma non potevo più viaggiare da solo. Volevo un fidanzato. Avere qualcuno che ti sostiene al tuo angolo è un grande aiuto”. Parola di Francisco Rodriguez, ex giocatore paraguaiano. Gay, omosessuale. L’unico tennista (uomo) dell’era moderna ad avere il coraggio di dirlo. A fare “Coming out”, dicono i dotti. Tra le donne, l’omosessualità è una bandiera che accompagna le lotte di genere. Tra gli uomini è un tabù. Sospetti, mezze parole…ma non ne parla nessuno. Manca il coraggio. “Nello spogliatoio si parla di belle ragazze, uscire e bere birra” aveva detto Justin Gimelstob, ex giocatore e oggi membro ATP nonchè opinionista (spesso) trash. Secondo lui, un gay dichiarato farebbe molta fatica nel circuito ATP. La pensa così Rodriguez, mentre sono di parere opposto Jim Courier e Ivan Ljubicic. Nel dubbio, meglio tenersi il segreto e vivere tranquillo. A meno di avere il coraggio di Rodriguez, professionista nei primi anni 2000. Ha giocato gli ultimi tornei nel 2006, nel 2007 ha dato una mano al disastrato Paraguay di Coppa Davis, che dopo i fasti di Victor Pecci (finalista a Parigi e artefice di una clamorosa vittoria contro gli Stati Uniti) e – in misura minore – di Ramon Delgado, oggi ha un solo giocatore nel ranking ATP, il modesto Josè Benitez (n. 1.259). Quando giocava, Rodriguez non avrebbe potuto portare un fidanzato al suo angolo. “Se una cosa del genere venisse fuori nel tour, diventeresti un reietto”.
Per trovare un caso analogo, bisogna andare fino al grande Bill Tilden: sono famose ancora oggi le sue liason con i divi del cinema Tallulah Bankhead e Douglas Fairbanks. Si dice che avesse una predilezione per i giovanissimi, ma non si è mai rivelato del tutto. Fu arrestato due volte prima di morire in disgrazia, senza un soldo. Ben diversa la situazione tra le donne: Billie Jean King, Martina Navratilova, Amelie Mauresmo e tante altre hanno dichiarato apertamente le loro preferenze. Martina Navratilova ha più volte detto di essere sorpresa dall’assenza di outing tra gli uomini. Qualche anno fa, ebbe a dire che qualcuno sarebbe emerso entro il 2010. E’ rimasta delusa. Ivan Ljubicic, ex membro del Consiglio ATP, disse che se ci fossero stati problemi per un omosessuale, il tour sarebbe immediatamente intervenuto in sua difesa. In verità – e senza voler generalizzare – diversi giocatori sono apertamente antigay. Un sito americano che si occupa di sportivi gay mise nella sua lista nera Goran Ivanisevic, perchè il croato utilizzava spesso l’esclamazione “frocio!” per offendere qualcuno. Dopo la sua vittoria al Roland Garros 1999, Andre Agassi disse di sentirci come “un frocio in un sottomarino”. Frasi dettate dal momento, un po’ come certi (sgradevoli) insulti razzisti. Ma il senso di fastidio resta.
Rodriguez era un bravo studente. A metà anni 90 colse l’opportunità di andare al college. Non voleva soltanto studiare o giocare a tennis. Voleva raccontare al mondo la sua omosessualità, sbandierarla ai quattro venti. “Sapevo di essere gay e di vivere in un paese dove non era possibile esserlo. E’ pericoloso, in Paraguay possono anche ucciderti se scoprono la tua omosessualità”. Ma anche nell’estremo sud degli States era dura. Insulti omofobici erano all’ordine del giorno, sia dentro che fuori dal campo. “i giocatori dicevano cose del tipo ‘fottuto frocio’ agli avversari. Mi avevano chiamato Barbie perchè portavo i capelli biondi lunghi”. Le pressioni non lo hanno spaventato, tanto che per due volte è finito tra i top-5 in ambito college. Ha battuto gente forte come Brian Vahaly e Robby Ginepri, se l’è giocata con James Blake. “L’omofobia non mi ha condizionato. Mi hanno insegnato ad essere forte mentalmente. Ho giocato a tennis per tutta la vita. Ho bloccato certi pensieri, ma gli insulti li sento ancora oggi. Certo, avrei voluto ‘confessarmi’ prima, ma nell’ambiente universitario sarebbe stata troppo dura. Allora mi sono concentrato sul tennis e sugli studi”. E’ stato un buon giocatore. Ha vinto un future (in Giamaica, nel 2003) ed è salito al numero 373 ATP, ai piedi del circuito challenger, dove è transitato appena due volte: ad Asuncion nel 1995 e a Champaign nel 2004, perdendo sempre al primo turno. A parte qualche allenamento con Roddick e la Kournikova, il ricordo più bello è una vittoria in Davis contro il Brasile grazie alla sua vittoria su Marcos Daniel, che lo precedeva di 200 posizioni. Si giocava a Bahia, sulla terra, e Francisco Vinse 6-4 1-6 2-6 6-4 11-9. “E’ stato incredibile. Tutto lo stadio tifava per lui. Vincere un match in cui non sei favorito…non c’è nulla che vi si possa paragonare”.
Negli anni da professionista, Rodriguez non ha mai frequentato locali gay. Aveva paura di essere visto. “Se un tennista gay chiede di allenarsi a un collega, gli viene risposto: ‘No, grazie. Non voglio che il mio nome sia associato al tuo. Potrebbero pensare che sono gay anch’io’”. Lo spogliatoio può creare dinamiche micidiali. “E poi ci sono ancora persone convinte di poter contrarre l’AIDS tramite la tavoletta del WC”. Solo un paio di volte, Rodriguez ha avuto il sentore che qualcuno lo avesse scoperto. Alcuni giocatori gli davano del “frocio” o della “femminuccia”. Non parlava mai di donne, non aveva mai avuto una ragazza. E i tennisti, si sa, amano collezionare donne quasi quanto i dollari e i trofei. Secondo Rodriguez, l’omosessualità può essere uno svantaggio competitivo. “Se sanno che sei gay, pensano che perdere contro di te sia un disonore e per questo giocano al massimo, con ancora più cattiveria”. Ljubicic non era d’accordo, ma il discorso fila. Così come è comprensibile che i casi di outing maschili si contino sulle dita di una mano. Nel circuito c’è stato solo Rodriguez (ma dopo essersi ritirato…), mentre a livello universitario c’è stato qualche caso. Matthew Coin si è rivelato all’ultimo anno di Università. Ma gli è andata bene, perchè i compagni lo hanno sostenuto con amicizia. Stessa fortuna per Kyle Wagner, mentre è curioso il caso dell’allenatore Sean Burns. Nel 2002 disse ai suoi allievi di essere gay. “Durante un allenamento in palestra, un giovane è arrivato in ritardo. Era arrabbiato con se stesso e si era dato del “frocio”. Sono intervenuti in quattro, dicendogli di chiudere immediatamente bocca”. Le cose stanno cambiando? Forse si. Rodriguez ha avuto modo di conoscere Coin e sono diventati amici. Adesso tutti sanno che è gay e si diverte ad attirare pubblico maschile durante gli allenamenti. Forse non sarà un’apripista come Biellie Jean King, ma il suo contributo è fondamentale per abbattere la barriera tra i gay e gli sport professionistici. “Mi piacerebbe che sparisse l’associazione di idee tra i concetti di ‘gay’ e ‘femminuccia”. I gay possono essere grandi atleti”. E’ vero e in tanti lo hanno dimostrato. Ma la paura di essere emarginati è troppo grande. Si dice che gli omosessuali siano il 10% della popolazione: fosse vero, avremmo una decina di gay tra i top 100. Non sappiamo se sia così, ma è difficile credere che non ce ne sia neanche uno. Se tra i campioni si nascondesse un omosessuale, farebbe bene a farsi una chiacchierata con Rodriguez. E se il 2013 fosse l’anno buono per l’outing di un tennista professionista?
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