Con quel nome evocativo e quei lineamenti da Dorian Gray, Ernests Gulbis avrebbe riempito i teatri se solo i poeti l’avessero visto giocare…

di Francesca Lancinifoto Getty Images

 

Con quel nome evocativo e quei lineamenti da Dorian Gray, Ernests Gulbis avrebbe riempito i teatri inglesi se solo i poeti l’avessero visto giocare. Il 2010 non ha nulla di vittoriano, se non qualche abito in stile gotico delle Williams nelle occasioni importanti (e la riedizione dell’opera completa di Anthony Trollope); ma è proprio il tennista lettone a restituirci un po’ di quell’aria di rinnovamento che portano le arti, tennistiche in questo caso. Perché Ernests, con quell’armonia di gioco creata dall’alternarsi di tocco e potenza, ha cominciato a farsi notare, mettendo in difficoltà Federer a Doha, nei quarti e poi in semifinale a Memphis contro Sam Querrey, fino al torneo americano di Delray Beach dove non perde neanche un set e batte Karlovic lasciandogli solo cinque game.

 

Gulbis, classe 1988, è lettone. Il padre ex cestista ora businessman e la madre attrice, lo hanno educato allo sport fin da piccolo, grazie anche alla passione per il basket del nonno paterno. Ernests iniziò a giocare a cinque anni, a dodici partecipò alle principali competizioni europee, a quindici diventò professionista e venne convocato in Davis. A diciotto vinse i suoi primi tre challenger e oggi, a ventidue anni arriva il primo successo importante che gli permette di raggiungere la posizione numero 45 della classifica ATP. Parla quattro lingue, gli piacciono la letteratura e i film classici; segue il calcio, il basket e l’hockey. C’è solo un’imperfezione nel suo passato da ‘tennista della porta accanto’, qualche notte scapestrata nelle vie di Stoccolma finita con un giro in commissariato e una multa; ma siamo sicuri che Oscar Wilde sarebbe stato fiero del suo Ernesto comunque.

 


dal blog La smorzata, di Francesca Lancini

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