A nemmeno sedici anni, Lorenzo Musetti è il quinto giocatore italiano ad aver conquistato uno Slam juniores dopo Corrado Barazzutti, Andrea Gaudenzi (due volte), Diego Nargiso e Gianluigi Quinzi. Ma quali sono le reali possibilità di confermarsi a livello pro? Ci siamo affidati ai numeri per scoprire che vincere da junior non è garanzia di successo ma è una condizione quasi essenzialeLa speranza è la quintessenza dell’illusione, la massima fonte di energia ma anche di debolezza. La speranza, trasfigurata nell’orticello del tennis italiano, oggi risponde al nome di Lorenzo Musetti, fresco vincitore – da quasi diciassettenne – dell’Australian Open junior, già finalista a New York l’anno scorso e prossimo numero uno del ranking ITF. Numeri e curriculum che gli valgono lo status di Next Big Thing nel panorama tennistico italiano. Una situazione da maneggiare con estrema cura perché avere tutte queste luci addosso a 16 anni significa essere un elefante che si aggira in una cristalleria. Di esempi di enfant prodige poi bruciati e promesse mai mantenute, la storia del Gioco – recente e passata – è talmente densa da farli sembrare quasi l’eccezione e non la regola. Legittimo, oggi ancor di più, farsi le solite domande: quanto conta vincere da junior? Un formidabile pedigree da under 18 quali garanzie offre per la futura carriera tra i professionisti? Posto che, ovviamente, non esiste una verità assoluta, l’unica strada percorribile resta quella di osservare il passato per provare a stimare il futuro. Anzitutto va fissata una linea di demarcazione atta a separare chi ce l’ha fatta e chi no; il confine più veritiero a tal riguardo è la top 100 che funge da indicatore sia economico sia di risultati conseguiti. Ebbene, una delle statistiche cardine di tutto il ragionamento è quella che mostra come solo un top 10 junior su due raggiunge la top 100 da professionista. Quindi, solo la metà (circa) di chi ha rappresentato l’eccellenza da under 18 ha tagliato poi il traguardo minimo dei top 100.C’è una legge che sembra valere in modo continuato e inossidabile: essere fortissimi da junior non è garanzia di diventare fortissimi tra i professionisti; d’altra parte, però, un professionista fortissimo – e qui la linea di demarcazione deve diventare la top 10 ATP – è quasi impossibile non sia stato fortissimo anche nei tornei junior. È un sottobosco piuttosto complesso e, per districarsi, torna utile una teoria suffragata dai numeri, esempi e statistiche elaborate da Luca Quinzi, papà di Gianluigi, ultimo azzurro a vincere uno Slam junior (Wimbledon 2013) prima di Musetti. Secondo tale teoria, l’insieme dei professionisti top 10 è un sottoinsieme quasi interamente contenuto nel gruppo dei top 10 junior. Ci sono, chiaramente, delle eccezioni che però vanno semplicemente a formare un ulteriore insieme in quanto condividono dei tratti comuni: si tratta dei vari Ljubicic, Anderson, Isner, Raonic. Giocatori modesti da junior divenuti campioni tra i pro. Il tratto comune, è lo status di big server: sono, difatti, tutti giocatori che hanno costruito gran parte delle rispettive fortune sul servizio, un colpo che si sviluppa e perfeziona in età più adulta. Per dire, Milos Raonic non è mai entrato tra i primi 30 del mondo under 18, mentre da adulto si è arrampicato fino alla terza posizione, con una finale a Wimbledon a impreziosire il curriculum. Numero 3 è stato anche Ivan Ljubicic che, invece, non è mai stato top 10 tra gli junior. Kevin Anderson, massimo 28 ITF, ha raggiunto due finali Slam tra i professionisti ed è ormai inquilino fisso della top 10 mondiale. John Isner ha perfino rischiato di non entrare mai nella top 100 giovanile (è stato numero 93 come best ranking), mentre lo scorso novembre era tra gli otto maestri che si giocavano le Finals di Londra. Tra queste eccezioni raggruppate sotto la voce big server c’è chi rappresenta l’eccezione pura. Si tratta di David Ferrer, mediocre da piccolo, diventato poi un pezzo da novanta del circuito professionistico con una vita trascorsa in top 5 (numero 3 il suo miglior risultato in termini di ranking), 27 titoli vinti, una finale Slam raggiunta e persa a Roland Garros e altre quattro semifinali distribuite equamente tra Melbourne e New York, con la ciliegina di essere il giocatore nella storia, insieme a Tomas Berdych, ad aver vinto più partite nei tornei dello Slam senza aver mai vinto un Major.Tutto ciò vuole dimostrare che un percorso da top player giovanile è la regola per diventare un top player tra i grandi e non l’eccezione, anche se ovviamente essere grandissimi da junior, non garantisce uguale percorso da professionista. Difatti, la storia del tennis è lastricata di meteore rimaste tali. Alcuni casi sono addirittura clamorosi, tanto sono stati fragorosi i flop. Filip Peliwo è un nome che al grande pubblico dice poco o nulla; ebbene, nel 2012 il canadese riuscì a raggiungere la finale di tutte e quattro le prove dello Slam juniores, perdendone due. Unico assieme a Stefan Edberg a centrare quattro finali su quattro, con la differenza che lo svedese le vinse tutte. Mentre, però, Edberg è diventato quello che tutti sanno – sei volte campione Slam, numero uno del mondo –, Peliwo a oggi ha raggiunto al massimo la 161esima posizione. E poi, Tsung-Hua Yang, Daniel Berta, Juan Sebastian Gomez, Brian Dunn, Federico Browne, tutta gente che ha chiuso un anno da numero uno delle classifiche giovanili e che si è persa nel passaggio tra i pro, Molti di questi non sono mai entrati nella top 100, alcuni non hanno praticamente svolto attività professionistica. Dei ventisei numeri uno a fine stagione dal 1990 al 2015, ben undici (più del 40%) non hanno mai vinto un titolo ATP. E ancora: solo tre di questi – che molto verosimilmente diventeranno quattro perché nelle prossime stagioni si aggiungerà Sascha Zverev – hanno raggiunto il vertice delle classifiche ATP così come lo furono di quelle giovanili (Marcelo Rios, Roger Federer e Andy Roddick). Questi ventisei giocatori hanno fino adesso – ci si riserva sempre la possibilità che Zverev aumenti tale numero – collezionato un tesoretto di 21 Slam: di questi, però, 20 sono il patrimonio offerto dal solo Federer, più uno US Open vinto da Roddick. Sono solamente nove, invece, i numeri uno junior dal 1990 al 2015 che hanno raggiunto la top 10 tra i grandi, mentre ben 6 (più di uno su cinque) non sono mai entrati in top 100. In sostanza, non sono nemmeno sbarcati nel mondo pro. «Tanti di quelli che hanno fatto bene da junior, poi sono diventati ottimi professionisti. È vero che qualcuno ha fallito, ma se non passi dai tornei junior e non fai bene in questa fase, poi diventa difficile imporsi sul circuito maggiore – dice Piero Melaranci, coach di Giulio Zeppieri, quartofinalista a Melbourne dove ha perso proprio contro Musetti –. In questa fase, l’aspetto più importante è non puntare troppo alla classifica, perché giocando molto è relativamente facile scalare posizioni. Ciò che conta, invece, è colmare le lacune tecniche e fisiche. È meglio lavorare sulla qualità che sulla quantità».Tornando a Lorenzo Musetti, è giusto nutrire aspettative importanti perché il percorso che sta compiendo legittima grandi sogni. È bene farlo, tuttavia, consapevoli della possibilità che i successi giovanili, per quanto prestigiosi, potrebbero non essere replicati tra gli adulti. Il tennis di Lorenzo è complesso, elegante, variopinto e, in questa fase, avere un ricco campionario di colpi può essere un’arma a doppio taglio. Tante volte, ad esempio, si è parlato delle iniziali difficoltà di Federer a unire le tessere del mosaico del suo tennis perché, senza la giusta esperienza, saper fare più cose può creare confusione. «Avere una varietà che gli consente di trovare soluzioni contro tutti i giocatori può essere sia una risorsa sia un problema – dice Diego Nargiso, ex enfant prodige del tennis azzurro, campione di Wimbledon under 18 e unico azzurro a entrare nella top 100 mondiale ancora junior – perché se Musetti non trova un’identità precisa, potrebbe avere problemi nello sviluppo tattico del gioco. Non si deve adagiare sulle sue qualità tecniche perché da sole non bastano. Ora tutti i primi 20-30 giocatori del mondo hanno un gioco di spinta, sempre alla ricerca del punto. Lorenzo deve costruirsi degli schemi che tengano conto della sua grande mano, ma affiancando dei colpi che gli permettano di ottenere tanti colpi vincenti».
Per Nargiso, la carriera di un professionista è un Everest da scalare: «Se vinci uno Slam junior, vuol dire che hai le caratteristiche per diventare un giocatore vero – afferma l’ex tennista napoletano –, ma riuscirci davvero è come scalare l’Everest per la prima volta. E, per restarci, devi scalarlo ogni anno. Bisogna essere preparati, avere chi ti accompagna lassù, in un luogo dove non sei mai stato. Molti si perdono nel percorso e, per riuscire, devi avere fortuna, bravura, risorse, intelligenza e una guida che conosce quei posti». Gli fa eco Flavia Pennetta: «Lorenzo ha solo sedici anni. Sedici anni. Deve godersi la vittoria ma darle il giusto peso. Circuito junior e circuito pro sono due mondi diversi: non deve crearsi troppe aspettative, né abbattersi se non arriveranno subito delle vittorie. In un attimo ti ritrovi da essere numero uno a essere uno dei tanti che deve percorrere un lungo cammino, senza avere fretta. Spero che intorno a sé abbia persone che non lo pressino più di tanto e che si ritagli qualche spazio al di fuori del tennis, perché anche quello è fondamentale»
Insomma, tra chi pontifica già un futuro da superstar e chi ignora di default i risultati giovanili, c’è il solco della ragione, dove a ben vedere abita la realtà dei fatti. Eccellere oggi non significa necessariamente diventare un fenomeno domani, ma tra avere un campioncino Slam e non averlo, conviene comunque la prima.
Lorenzo Musetti è nato a Carrara il 3 marzo 2002. Mamma Sabrina è impiegata, papà Francesco lavora nel settore del marmo. Dal 2015 si allena allo Junior Tennis San Benedetto, in provincia di La Spezia, col maestro Simone Tartarini. Ha cominciato da bambino nello scantinato della nonna, ora il suo successo all’Australian Open è il sesto Slam a livello junior conquistato da un giocatre italiano dopo Corrado Barazzutti a Roland Garros nel 1971, Diego Nargiso a Wimbledon nel 1987, Andrea Gaudenzi a Roland Garros e US Open nel 1990, e Gianluigi Quinzi a Wimbledon nel 2013.
Circa l'autore
Post correlati
Grazie Rafa, modello di talento e intelligenza
Un campione unico, buono, intelligente, amato da tutti, fan e avversari, anche il suo più grande foto Ray Giubilo...