Splendida vittoria del senese, che ai 2.850 metri (ventosi) di Quito domina Alejandro Falla, molto più abituato di lui a queste condizioni. Oltre 150 settimane tra i top-100 sono un traguardo super, questo Lorenzi può ambire a qualcosa di più?
Elogiare Paolo Lorenzi è facile, scontato, un gol a porta vuota. Grinta, coraggio, capacità di migliorarsi giorno dopo giorno, simpatia e correttezza. La lista degli aggettivi potrebbe andare avanti: Paolo rappresenta l’esatto opposto del luogo comune del tennista italiano piagnone, pigro e sempre in cerca di scuse, dipinto da Nanni Moretti nel suo film “Aprile”. A 33 anni suonati, Paolino continua a migliorarsi e non perde la motivazione. Dopo aver lottato per anni nei bassifondi del ranking, infognato nel mondo challenger, avrebbe potuto sentirsi appagato dopo aver annusato la patina dei top-100. Invece no, continua a migliorare. In questo, ricorda un po’ Rafa Nadal. Certe vittorie profumano più di altre, ed è certamente il caso del secondo turno al torneo ATP di Quito (494.310$, terra). Il toscano ha battuto Alejandro Falla con il punteggio di 7-5 6-1. Il senso di questa vittoria va ben oltre i 45 punti ATP intascati, peraltro utilissimi perchè tra qualche settimana gli scadranno i 150 della finale a San Paolo. La vittoria vale perchè superare Falla in altitudine è una mezza impresa. A Quito si gioca a 2.850 metri di altitudine, dove l’aria è rarefatta e si gioca un tennis diverso, più veloce, poco controllabile. “Sapevo che se l’avessi atteso mi avrebbe punito – ha detto Lorenzi – Alejandro ha una buona mano e gioca rapido. Avrei dovuto essere ancora più aggressivo. Mi è riuscito in parte nel primo set, meglio nel secondo”. Tra l’altro si è giocato con un forte vento, tipico di quelle parti. “In queste condizioni capita spesso che uno dei due esca dal match, perchè è difficile mantenere la concentrazione. Io, per fortuna, ce l’ho fatta”.
L’ALTURA NON AIUTA IL COLOMBIANO
Alejandro Falla nutriva grandi speranze per questo torneo: lui è nato e cresciuto in altitudine, a Cali, circa 1.000 metri d’altezza. E’ abituato a respirare in quelle condizioni, tanto che ha sviluppato un’insolita propensione per i campi veloci. Lo ricordiamo finalista sull’erba di Halle, persa contro Federer. E per poco non batteva proprio Federer a un primo turno di Wimbledon. L’altra sua finale ATP? A Bogotà, ovviamente. Lassù, a oltre 2.600 metri d’altezza, soltanto il servizio atomico di Ivo Karlovic poteva fermarlo. Otto dei sui undici titoli challenger sono arrivati in Colombia, in mezzo alle montagne. Per questo, il colombiano era carico per il nuovo torneo di Quito, che ha riportato il circuito ATP nel paese dopo oltre 30 anni. Molto meglio, per lui, l’aria rarefatta dell’Ecuador che l’umidità di Vina del Mar. Prima della partita, Lorenzi sembrava spacciato. Aveva perso l’unico precedente, lo scorso anno nella finale di Bucaramanga (a circa 1.000 metri d’altezza) e la vittoria al primo turno contro Adrian Menendez Maceiras non aveva lasciato sensazioni troppo positive. Invece Paolo ha giocato la consueta partita encomiabile ed è stato perfetto nei momenti importanti. Perso un break di vantaggio in avvio, non ha corso rischi quando ha servito sul 4-5 e si è preso d’autorità il break sul 5-5. Il secondo è stato una passeggiata, con sei giochi consecutivi che lo hanno spinto nei quarti dove dovrebbe affrontare Fernando Verdasco, star del torneo insieme a Feliciano Lopez. Contro il madrileno non ha mai giocato, ma Paolo non avrà paura. Può giocare con la forza della serenità, forte di un’accoppiata servizio-dritto che si è costruito giorno dopo giorno e oggi può far paura, anche nei tornei ATP.
LORENZI, OBIETTIVO TOP-50?
Ci si domanda se Paolo abbia raggiunto i suoi limiti. Visto quello che aveva ottenuto fino ai 28 anni, ha vissuto esperienze straordinarie. Il dato che fa più impressione sono le 153 settimane tra i top-100 ATP. Le prime 32 le ha vissute tra il 2009 e il 2010, mentre le ultime 120 sono quasi consecutive (c’è stato un piccolo calo a cavallo tra il 2013 e il 2014). Significa tre anni buoni nell’elite del tennis. Poi ha giocato una finale ATP, a San Paolo 2014. Si è aggiudicato 12 challenger ed è tra i più titolati di sempre nella categoria, è stato titolare per l’Italia in un match del World Group di Coppa Davis (a Torino contro la Croazia) e ha pure vinto un titolo ATP in doppio (Vina del Mar 2013, in coppia con Potito Starace). Un palmares che decine di giocatori gli invidiano. Eppure non è cambiato di una virgola, con la sua generosità fuori dal comune. Resterà nella storia un suo tour de force di qualche anno fa, quando giocò Indian Wells-Caltanissetta-Miami in rapida successione, contro qualsiasi logica. Ed anche grazie a lui che l’amico Enrico Becuzzi ha intascato un paio di vittorie nel circuito, almeno in doppio. Lo scorso anno a Chitre e pochi giorni fa proprio a Bucaramanga. Il termine “campione fuori e dentro il campo” è un po’ abusato, ma forse il senese è ancor più campione fuori che dentro, dove pure è un fenomeno. Adesso è giusto porsi un altro paio di obiettivi. Vincere un torneo ATP e migliorare il best ranking. Delle 153 settimane tra i top-100, soltanto una l’ha vissuta tra i primi cinquanta. L'obiettivo è affascinante ma ragionevole. Forza.
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